Piccolo Leo, grandi scorci di umanità

Come appassionati disillusi, spesso in questi anni abbiamo parlato malissimo del calcio: tante macchie hanno infangato un mondo che generazioni hanno vissuto come una favola, perfetto, dove c’era sempre il lieto fine. Con gli anni scandali, combine, doping, violenza e una tendenza al business sfrenato ne hanno sicuramente minato la credibilità, anche se esistono ancora momenti, forse piccole parentesi, che ci rifanno pensare a quel nostro mondo fatato dell’infanzia. Anche pochi giorni fa a Bologna, un piccolo-grande segnale, che il mondo del pallone non è proprio morto, ma respira ancora.Succede durante l’intervallo del derby emiliano Bologna-Parma: i dirigenti parmensi vengono a sapere che la moglie del loro capitano Stefano Morrone ha problemi serissimi con il piccolo Leo, 4 mesi, improvvisamente diventato cianotico. Mentre in casa del giocatore si vivono istanti lunghissimi, nello spogliatoio dei ducali, la notizia diventa di difficilissima gestione. Spesso infatti, in casi analoghi, ci si rifugiava dietro il motto consolidato, che recita il solito ottuso refrain “the show must go on” (con partite che sono proseguite a dispetto anche di vere e proprie tragedie che avvenivano a bordo campo).Stavolta per fortuna lo spartito è diverso, merito di una dirigenza illuminata. Dal direttore generale Leonardi al tecnico Roberto Donadoni non c’è nessun dubbio: bisogna avvertire subito il capitano, perché la salute di un bambino, del suo bambino, viene prima di tutto. Al diavolo le ipocrisie stile: “L’atleta deve restare sereno, si può sempre attendere 45 minuti per non turbarlo”. Così prendono da parte il capitano e con delicatezza lo avvisano della situazione, spronandolo a mollare tutto, e a correre a casa, perché è più importante che in quel preciso momento lui sia lì, accanto alla sua famiglia, al suo piccolo.Alla fine la situazione del bambino è migliorata, ma era importante, al di là del caso singolo, dare un segnale a un mondo che troppe volte si è mostrato indifferente a quanto accadeva un centimetro al di fuori (e spesso anche al di dentro) del rettangolo di gioco.Segnali di speranza e di umanità il mondo dello sport li dà e deve continuare a darli. E che curiosamente possa anche diventare elemento di riscatto contro il malaffare ce lo dimostra un altro caso, completamente differente, che riguarda un purosangue, Mustang Grif, figlio del mitico Varenne, sequestrato due anni fa a un imprenditore accusato di aver evaso l’Iva e non aver versato contributi ai suoi dipendenti. Ora quel cavallo corre, e soprattutto vince per lo Stato: montato da Antonio Greppi ha centrato nei giorni scorsi la sesta vittoria in una carriera che in tre anni gli ha permesso di guadagnare oltre 146 mila euro, bottino che ora serve allo Stato per ripagare almeno in parte la voragine economica causata dai suoi ex padroni.In tutto, chi più bravo, chi meno, sono 11 i purosangue ingaggiati dalla scuderia del “fondo unico della giustizia”: una corsa liberatoria che non solo piace agli appassionati ma contribuisce a risanare sempre più i conti dello Stato.

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