Provincia, un sasso nello stagno

Caro direttore, voglio gettare un sasso nello stagno, contraddicendo il mio proposito di stare un po’ fuori dalla politica; oggi però questo proposito si scontra con il desiderio di esprimere la mia opinione. Di fronte alla manovra varata per decreto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e avallata dal Presidente della Repubblica, vorrei esprimere la mia opinione che può anche apparire contradditoria rispetto alle posizioni ufficiali assunte dalle rappresentanze politiche del territorio lodigiano. La battaglia per la costituzione della Provincia di Lodi, a sua tempo, fu una battaglia epica; e le risultanze di quella scelta sono del tutto positive. Incontestabilmente si deve riconoscere che il territorio lodigiano è “altra cosa” rispetto al territorio della Provincia di Milano e che la possibilità di vicinanza e ascolto politico da parte di molti Comuni lodigiani si è concretizzata solo con la costituzione della nuova Provincia. Quanti Comuni del Lodigiano potevano interloquire efficacemente con la Provincia di Milano? E quanto poteva pesare, nelle scelte della Provincia di Milano, l’esigenza di un piccolo Comune del Lodigiano, se raffrontata all’esigenza di un Comune del popoloso nord Milano? Onore e merito a chi ha voluto la Provincia di Lodi (e so che Tu personalmente sei fra questi), un’intuizione positiva, che ha portato frutti e risultati. Ora, però, siamo in una fase nuova, diversa, senza termini di paragone. Occorre pertanto mettere in campo valutazioni diverse, non paragonabili allo ieri, sulla spinta di una necessità inderogabile: la situazione economica complessiva esige scelte anche difficili e dolorose. Sarebbe da irresponsabili negare la necessità; ed è da irresponsabili pensare che “ci devono pensare altri”. Tutti dobbiamo essere coinvolti in uno sforzo straordinario,in vista di un risultato comune. Dobbiamo quindi predisporci, anche e se del caso, ad accettare la dolorosa abolizione della Provincia di Lodi (se ne discuterà, ma credo che non ci debbano essere posizioni preconcette, altrimenti a furia di distinguo ed eccezioni, si finirà con un nulla di fatto complessivo). Tuttavia alcune cose possono essere dette. La Provincia è realmente un organo amministrativo intermedio: deve cioè riassumere alcune funzioni che vanno organizzate a livello sovraccomunale, senza arrivare al livello regionale (a proposito: che struttura elefantiaca ha assunto la Regione Lombardia! Quanti spazi e quante sedi! Quanta inutile strutturazione con organici decentrati in ogni Provincia,organizzati con Dirigenti e ampia dotazione di personale! Ci si ricorda l’idea di Bassetti, primo Presidente della Regione Lombardia, di una struttura solo programmatoria e di indirizzo?).

Perché, tornando al ragionamento, non imporre “per legge” che le Province debbano occuparsi “solo ed esclusivamente” di alcuni compiti (solo ad esempio: scuola secondaria superiore, strade di livello sovraccomunale, piani rifiuti, piani cave ecc.) senza possibilità di occuparsi di funzioni che già sono esercitate dai Comuni?

Perché la Provincia deve occuparsi di cultura o di sport o di servizi sociali, se già ci pensano i Comuni, come è corretto secondo il principio di sussidiarietà?

Ho lavorato per tanti anni in una Amministrazione Provinciale: mi sento di dire che vi sono funzioni importanti svolte da questi enti, funzioni che non possono essere trasferite al livello comunale né al livello regionale.

Il problema è che, senza regole, le Province finiscono per occuparsi di tutto, anche invadendo campi che sicuramente sono di competenza comunale.

In Provincia di Milano, nell’ultimo periodo di lavoro che vi ho trascorso, vi erano 14 (o 15?) assessorati, che si occupavano delle più svariate tematiche. Al di là del costo delle strutture (comunque non indifferente), occorre sottolineare che ogni Assessore logicamente pretendeva un proprio budget di disponibilità finanziaria. Queste cose elevano la spesa pubblica, duplicando di fatto funzioni che già vengono svolte da organi amministrativi più vicini ai cittadini.

Per questo, tornando all’origine del discorso, ritengo che più che la riduzione del numero delle Province (ipotesi con cui ci si dovrà comunque confrontare) ben più risultato (anche immediato) avrebbe portato l’identificazione dei compiti delle Province, dando loro precise funzioni amministrative e togliendo loro (per legge!) la ampia discrezionalità di cui oggi godono.

A ciò potrebbe aggiungersi la scelta (probabilmente già espressa da altri) di una rappresentanza indiretta dell’organo politico che costituisce la Provincia. In sintesi estrema: una rappresentanza di Sindaci del territorio, con un Presidente scelto al suo interno, che determini scelte e tempistiche di realizzazione degli interventi, direttamente discendenti da quella seria finita di compiti che la legge pone a carico delle Province, quali organi intermedi.

Illusione? Forse sì, ma a fronte di situazioni di allarme, quali l’attuale, meglio optare per soluzioni radicali.

La soluzione scelta dal Governo, pare più di facciata, e, in ogni caso, rimanda la sua efficacia di qualche anno, non ponendo altresì limiti alla volontà politica delle Province che rimarranno.

La mia ingenua proposta potrebbe invece essere applicata immediatamente: “dal 1.1.2012 le Province si devono occupare solo ed esclusivamente di...”; “il personale ad oggi addetto alle funzioni non più ricomprese nell’elenco sopracitato verrà ricollocato all’interno delle strutture addette ai compiti istituzionali stabiliti per legge” ( e chissà che ci sia una maggior efficienza della strutture, vista la maggior disponibilità di personale!).

Un’altra cosa vorrei dire: se la logica è rendere più efficiente (e quindi più economica) la struttura intermedia rappresentata dalla Provincia, occorre ripensare a tutte le Province, non limitandosi a porre dei limiti numerici di popolazione o di superficie di territorio.

Per essere esplicito e riprendere una mia antica convinzione: la Provincia di Monza e Brianza (che pure conta 700.000 abitanti e dunque rimarrà) non ha senso. È un territorio assolutamente coerente e strettamente connesso con la Provincia di Milano, di cui strutturalmente e territorialmente è parte integrante: è fin troppo evidente che i servizi che interessano l’interland di Milano sono esattamente sovrapponibili a quelli che interessano la nuova Provincia di Monza e Brianza. Se dunque la scelta è stata, come pare, una scelta eminentemente politica, occorre tornare indietro secondo un principio di funzionalità più razionale.

Sotto questo aspetto, la Provincia di Lodi (e ancor più quella di Sondrio), che oggi è messa in discussione, ha ragioni d’essere più solide della Provincia di Monza e Brianza: il territorio è del tutto diverso da quello del milanese; l’ascolto politico delle amministrazioni comunali del Lodigiano ha bisogno di una dimensione più appropriata, che non può essere rappresentata da un organo, come la Provincia di Milano obbligata ad occuparsi di territori densi e popolati come il nord Milano, totalmente diversi dai territori agricoli e rarefatti del Lodigiano.

Ma sempre in termini di razionalizzazione della struttura burocratica dello Stato ( e qui divento realmente provocatorio, ma pronto al confronto), servono davvero le Prefetture? Serve ancora una distinzione fra Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza? Non si potrebbe fare di tutto ciò un unico organismo, coordinato, unitario, più efficiente? Non si tratta di ridurre organici o personale, ma di rendere unitario e coerente il livello decisionale, al limite anche rinunciando a funzioni di rappresentanza che risultano non sopportabili in momenti di crisi profonda e problematica quale l’attuale.

Una seconda, superficiale, considerazione sulla manovra si riferisce alla ipotesi di tassazione suppletiva dei redditi oltre i 90.000 euro. Mi sembra una presa in giro, poichè se una persona ha un reddito di 93.000 euro annuali (7.750 euro al mese), pagherà una imposta suppletiva di 150 euro per tre anni.

Non mi sembra una richiesta di partecipazione straordinaria, eccessiva e sproporzionata, come sostiene l’On. Stracquadanio del PdL. Personalmente mi sembra esattamente il contrario.

Mettendomi direttamente in gioco, devo dire che sono in pensione da un paio di anni e che godo di una pensione di buon livello, di cui assolutamente non mi lamento (per essere esplicito, rientro in quelle categorie che, secondo la manovra di luglio, non avranno il riconoscimento dell’aumento secondo l’indice del costo della vita). Tuttavia sono assolutamente e clamorosamente lontano dal limite dei 90.000 euro fissati nell’attuale decreto per essere soggetti ad un’imposta aggiuntiva.

Posso dire che se lo Stato, in questa situazione di emergenza, mi chiedesse 1.000 euro (non 150 !) ogni anno e per tre anni, lo riterrei equo e doveroso? E che potrei affrontare la questione senza particolari problemi?

Quale irresponsabile difesa dei propri interessi spinge la scelta della attuale maggioranza politica a proteggere sempre e comunque i più abbienti, fino ad ipotizzare l’annullamento delle detrazioni fiscali che colpiscono proporzionalmente in modo maggiore i redditi più bassi? O ad ipotizzare un aumento dell’Iva che, anch’essa, peserà in modo proporzionale maggiore sui redditi più bassi?

Nei momenti di crisi profonda, come quella attuale, occorre che vi sia una assunzione di responsabilità maggiore e diffusa: nessuno può dirsi al riparo dai rischi e, soprattutto, è indispensabile che si cerchi una via d’uscita che “porti tutti in salvo”. Non solo alcuni o una parte, ma tutti.

Le scelte politiche, allora, non possono essere dettate dalla convenienza di una parte, ma da una logica di assunzione di responsabilità, secondo la quale “chi maggiormente ha (in tutti i sensi, non solo in senso economico) è maggiormente responsabile nei confronti di chi meno ha”.

E occorre che il piccolo calcolo politico, secondo cui si protegge il proprio elettorato di riferimento, lasci spazio ad una valutazione davvero orientata alla giustizia complessiva, guidata da un’idea di uguaglianza e di coesione sociale, quali unici elementi che possano unire tutti nel tentativo di raggiungere un obiettivo di bene comune.

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