Stop al consumo di suolo e priorità alla riqualificazione del tessuto urbano esistente con una particolare attenzione agli interventi su aree ed edifici dismessi. Questo imponeva, in buona sostanza, la legge salva-suolo varata il 15 giugno 2013 dal governo Letta, che ricalcava fedelmente le linee del decreto Catania che era stato approvato dal precedente governo Monti. In Italia i governi nascono e muoiono con sorprendente rapidità, lasciandosi in eredità montagne di carte e di problemi irrisolti. L’auspicio è, ovviamente, che il nuovo governo si assuma la responsabilità politica e morale di portare a compimento nelle aule parlamentari un impegno di interesse strategico per le sorti dell’agricoltura e dell’economia nazionale. Bisogna fare presto e recuperare il tempo perduto nelle diatribe di una democrazia malata. Mentre si disputa puntigliosamente sui risparmi che saranno conseguiti da leggi a venire, i suoli spariscono a vista d’occhio. Basta guardarsi attorno percorrendo le nostre strade. Svincoli e tangenziali sorgono come funghi anche in zone a bassa densità urbana. Strade, città e capannoni si mangiano la terra, nuovi tratti autostradali sconvolgono gli antichi paesaggi agrari costati sangue e sudore, impoverendo il patrimonio storico, ambientale e culturale del nostro Paese. Per farsi un’idea della pioggia di cemento che sta per abbattersi sul territorio lombardo, è sufficiente esaminare i piani edilizi dei piccoli Comuni, che sono quasi tutti basati su previsioni di crescita demografica assolutamente spropositate. C’è una voglia irragionevole di crescere, espandersi, cementificare e inquinare, snaturando l’ambiente rurale e peggiorando la qualità della vita delle comunità locali. Insomma, i Comuni proseguono in ordine sparso sulla loro strada, confermandosi come una macchina micidiale di distruzione e desertificazione del territorio, obbligati come sono a fare quadrare i conti con i proventi della trasformazione urbana dei suoli. Più si costruisce, più si guadagna. Dalle Province non arrivano segnali, perché la legge 7 aprile 2014, n° 56, nata per abolirle sic et simpliciter, le ha invece riordinate e riformate secondo criteri che appaiono a un primo esame ambigui o indecifrabili. Pertanto, è difficile al momento giudicare se questa istituzione, che era una pedina essenziale nel disegno costituzionale dell’autonomia e del decentramento amministrativo, conserverà la capacità di mediare, indirizzare e orientare con un minimo di decoro la programmazione urbanistica dei Comuni. Sul consumo di suolo sono entrate recentemente in campo Regioni come la Lombardia e L’Emilia Romagna, elaborando nuove proposte di leggi urbanistiche rispettose delle risorse naturali, mentre partiti e gruppi consiliari fanno a gara per avanzare proposte radicali e innovative in tema di pianificazione urbanistica. Da indagini compiute a livello di gruppi consiliari su dati diffusi dalla regione Lombardia, la situazione è allarmante. Il 20% dei Comuni lombardi non è ancora dotato di un Piano di Governo del territorio (PGT), mentre il restante 80% prevede nei suoi PGT di trasformare in terreni edificabili una superficie agricola regionale pari a 414 milioni di metri quadrati. E’ una superficie abnorme che corrisponde a una previsione di crescita demografica di oltre un milione di residenti. Forse, nemmeno grandi metropoli come Londra o Parigi possono vantare una simile crescita! In conclusione, il presidente del Consiglio potrà assumersi il merito storico di fare approvare dal Parlamento una legge sul consumo di suolo, se sarà capace di spostare il fulcro dell’agenda politica dalle questioni pubbliche, istituzionali e regolamentari ai gravi e drammatici problemi della crescita, dell’impresa e dell’occupazione.
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