A partire dall’elezione di Papa Francesco, ogni suo gesto e parola sono stati soppesati quasi ossessivamente da più parti per rispondere a una stessa domanda: è un Papa conservatore o progressista ? Questo schematismo, di cui anch’io mi accorgo di risentire, è indice di una frattura profonda che divide da decenni la chiesa cattolica al suo interno, provocando scontri e contrapposizioni che smentiscono la fraternità cristiana. Di fronte al nuovo papa ci si chiede perciò se sta dalla propria parte. Ecco allora che c’è chi si affretta ad arruolarlo nel proprio schieramento, così come altri si appellano ad aspetti diversi della sua predicazione.A questo modo di pensare è correlata l’ossessione della continuità, per cui di tutto ciò che il papa fa o dice bisogna affermare che non cambia niente rispetto al passato, come se l’esperienza cristiana non fosse cammino e conversione, ma solo conservazione. Per non parlare di chi sostiene che i papi sì cambiano, con le loro personalità, ma tutto fa parte dell’unico disegno dello Spirito, come se la libertà personale non esistesse.Da parte mia, ritengo che in papa Francesco ci sia una novità positiva, anche se per la sua storia e provenienza non è inquadrabile nella dicotomia di cui sopra. E questo è positivo, perché è uno schema che finisce con il paralizzare la chiesa. Per la sua storia personale e provenienza, Papa Francesco porta in sé elementi più tradizionali assieme ad altri che sono una rottura rispetto a certi aspetti del cattolicesimo ormai irrigiditi e che oggi non esprimono più la novità evangelica.Papa Bergoglio sta operando, con gesti e parole, una riconfigurazione linguistica dentro la chiesa che mette in rilievo accenti e priorità nuovi. E’ un’opportunità, per la chiesa cattolica, di riguadagnare slancio e respiro. Certo, al momento mancano ancora scelte di governo profonde ed esplicite corrispondenti a questo nuovo lessico. Ci vogliono, perché questo cambiamento sia effettivo, ma i segnali che si va in questa direzione non mancano.Il linguaggio di Francesco corrisponde a un vero e proprio stile, a un modo di vivere la fede e di vedere la chiesa che apre possibilità finora sottovalutate di sequela del Signore secondo il Vangelo. E’ uno stile in cui confluiscono l’appartenenza alla Compagnia di Gesù, le intuizioni del Concilio Vaticano II, la sua estrazione latinoamericana. Ho notato questo con particolare evidenza quando il Papa in questi cinque mesi ha dato voce al tema della difesa della vita.“La vita deve essere difesa sempre, sin dal grembo materno, riconoscendo in essa il dono di Dio e la garanzia del futuro dell’umanità. Ma va difesa anche nella cura degli anziani, specialmente dei nonni che sono la memoria viva di un popolo e trasmettono la saggezza della vita” Sono parole di Papa Francesco contenute in un messaggio ai Vescovi del Brasile inviato nei giorni scorsi in occasione della “Settimana nazionale della Famiglia”. E’ almeno la quarta che il nuovo Papa afferma il dovere della difesa della vita in ogni sua stagione, l’aveva già fatto nel saluto ai partecipanti della “Marcia della Vita” nel giugno scorso; ancora in occasione dell’omelia per la giornata del “Vangelo della vita”; ed infine in un messaggio ai cattolici del Regno Unito.E’ errata dunque la considerazione che Papa Bergoglio disattende la battaglia per la vita nella quale tanto si erano spesi i due Papi predecessori. Non solo non la disattende ma, a mio modesto parere, ad essa si approccia con tre novità di rilievo: Non entra in polemica diretta con le leggi dei singoli Paesi; non separa mai la difesa della vita prenatale dalla difesa di ogni vita; non pone l’etica della vita al centro della sua predicazione. Il tema non è trascurato, diventa anzi uno degli orizzonti più solidi della proposta di novità evangelica di cui oggi la Chiesa deve più che mai farsi carico, ma il nuovo stile del Papa argentino evita di farne una priorità, Papa Francesco condivide la necessità della protesta per le leggi che non difendono la inviolabilità della vita ma è molto attento a non lanciare mai parole d’ordine sulla vita nascente senza evocare la difesa di ogni altra vita. L’invito continuo ad andare nelle periferie, quelle sociali ed economiche, ma anche quelle esistenziali conferma questa delicata attenzione al tema della vita nella sua complessità. Significa una chiesa che si sporca le mani, che sta con i poveri, che corre dei rischi, pur di uscire da se stessa e rompere la tentazione dell’auto-referenzialità. E’ una chiesa che non fortifica i confini, con un atteggiamento esclusivista, ma cerca l’incontro.Infine, la rinuncia all’uso retorico e politico del codice dei «valori non negoziabili». Il Papa parla della vita in termini esortativi, propositivi, senza assumere l’atteggiamento della contrapposizione con quei governi che adottano provvedimenti legislativi distanti dai desiderata vaticani. E’ il modo di fare che sta suscitando più disagio in quei cattolici e in quei prelati che sventolano la bandiera dell’unica cultura cristiana e delle alleanze politiche imperniate sui valori. Sembra che papa Francesco si stia muovendo nella direzione di rendere meno ideologizzato il messaggio morale della chiesa: quando la proclamazione dei valori avviene in modo astratto e staccato dalla preoccupazione pastorale per il bene concreto delle persone a cui quel messaggio si rivolge (che siano coppie sposate, omosessuali, conviventi non sposati, divorziati risposati), il messaggio evangelico diventa ideologico. Questo non è solo un problema di credibilità per la chiesa, ma anche di rispetto del Vangelo, nelle cui pagine Gesù ha sempre fatto prevalere l’accoglienza della persona sul giudizio.
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