«Svuotare carceri dove le condizioni di vita sono disumane è da ieri legge, e da sempre un dovere morale. Mettere la magistratura in condizioni di applicare la legge è un imperativo altrettanto urgente». Così la nota di Magistratura Democratica all’indomani dell’approvazione del cosiddetto “decreto carceri” (n. 146 del 23.12.2013), convertito in legge grazie all’approvazione del Senato il 19 febbraio scorso, a due giorni dalla scadenza.Impossibile il rinvio, neppure al fine di migliorare la norma (che presenta alcune criticità): non licenziare il testo significava infatti non ottemperare alla sentenza della Corte Europea per i diritti umani, che impone di ridurre il sovraffollamento nei penitenziari italiani entro il 28 maggio prossimo, pena l’accoglimento di migliaia di restanoricorsi di detenuti costretti a vivere in condizioni «inumane e degradanti» e l’obbligo di corrispondere loro adeguati indennizzi. Uno scenario, evidentemente, insostenibile in un momento tanto delicato per l’economia nazionale. Le novità introdotte dalla legge sono dunque, senza sostanziali modifiche, quelle annunciate a fine dicembre e appena ritoccate dalla Camera a inizio febbraio. Eccole, in sintesi.Nel reato di detenzione e cessione di stupefacenti, l’attenuante di lieve entità (per «la qualità e la quantità delle sostanze»), diviene reato autonomo, comportando pene decisamente meno severe rispetto al passato e consentendo procedure più agevoli di affidamento terapeutico.Il disposto è rafforzato dalla recente sentenza di incostituzionalità della cosiddetta Legge “Fini-Giovanardi” (n. 49 del 21.02.2006), che parificava la detenzione e la cessione di droghe leggere e droghe pesanti. Vale la pena notare che negli ultimi dieci anni ben quattordici leggi italiane sulla giustizia sono state dichiarate incostituzionali. Un primato che non fa onore al nostro paese e che ha prodotto costi sociali altissimi, in termini sia economici sia, soprattutto, umani.È portato a quattro anni il limite di pena (anche residua) che consente l’affidamento in prova ai servizi sociali. Per l’arco di tempo compreso tra il 1 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2015 si amplia a 75 giorni per ciascun semestre la riduzione per la liberazione anticipata; poiché la finalità della misura è quella di consentire la più rapida fuoriuscita dei detenuti dai penitenziari, ne è esclusa l’applicazione a coloro che si trovano in affidamento in prova e in detenzione domiciliare. Esclusi dal beneficio anche i rei di associazione mafiosa o gravi crimini (il che configura una possibile incostituzionalità, poiché la liberazione anticipata è concessa a fronte della cosiddetta “buona condotta” della persona ristretta, non in ragione del reato che ha commesso). Ogni singolo caso sarà comunque sottoposto alla valutazione del magistrato di sorveglianza, chiamato a esercitare capacità di discernimento (e non discrezionalità, o approssimazione, considerato l’alto numero di istanze che saranno esaminate). Acquista poi carattere permanente il beneficio della detenzione domiciliare per pena definitiva (anche residua) non superiore a diciotto mesi; a questo riguardo il magistrato è tenuto a disporre l’utilizzo dei braccialetti elettronici, a meno che ne escluda esplicitamente la necessità.Infine, è ampliata la casistica dell’espulsione come misura alternativa per gli internati stranieri ed è (finalmente) istituito il Garante dei detenuti a livello nazionale.Fuori tutti dunque? Proprio no, a dispetto di quanti, nelle sedi istituzionali, hanno dato vita a proteste chiassose quanto fuori luogo. In poco meno di due mesi, cioè dall’entrata in vigore del decreto, il 24 dicembre scorso, sono usciti dalle celle soltanto 1.311 detenuti (fonte: DAP al 18.02.2014). Certo la norma continuerà ad agire anche negli anni futuri, ma è dubbio che possa avere effetto risolutivo entro il 28 maggio prossimo.Tutti più sicuri, dunque? Ancora una volta, no. Gli studi sociali ed economici («Il Sole 24ore» dell’11.02.2014) dimostrano infatti che il carcere “chiuso” moltiplica la recidiva e produce soltanto altro carcere. I penitenziari sono scuole criminali, perché le persone ristrette rafforzano i legami con i compagni di detenzione e allentano quelli con la società. Il carcere, è evidente, non conviene alla sicurezza collettiva. E costa tanto, tantissimo: in dieci anni (dal 2001 al 2010) il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è costato oltre 28 miliardi di euro. Nell’arco del decennio, il 79,2% dei costi è stato assorbito dai circa 48.000 dipendenti del DAP (dirigenti, polizia penitenziaria, personale amministrativo, psicologi, educatori), il 13% dal mantenimento dei detenuti (corredo, vitto, cure sanitarie, istruzione, assistenza sociale), il 4,4% dalla manutenzione delle carceri e il 3,4% dal loro funzionamento (energia elettrica, riscaldamento, acqua). L’incidenza del costo relativo al personale negli ultimi quattro anni è aumentata di ben 5 punti percentuali (dal 79,3% del 2007 all’84,3% del 2010), mentre le spese di mantenimento dei detenuti, di manutenzione e funzionamento delle carceri hanno subito una decurtazione di circa un terzo. In ultima analisi, nel 2010 il costo medio giornaliero per detenuto è stato di 113 euro, di cui 95,30 euro per il personale e 7,70 euro per tutto il resto (fonte: DAP). Non è poco per un’impresa che produce recidiva invece di reinserimento, ovvero l’esatto contrario di quanto previsto dalla propria funzione e missione.Del resto, è noto, il carcere è ormai una discarica sociale. I ricchi e i potenti, i cosiddetti “colletti bianchi”, autori di “reati impalpabili”, nel nostro paese sfuggono quasi sempre non solo al carcere, ma anche alla condanna. Delle 62.536 persone detenute nei penitenziari italiani al 31.12.2013, soltanto 11 sono accusate di corruzione, 26 di concussione, 46 di peculato, 27 di abuso d’ufficio aggravato; gli arrestati per frode fiscale sono 168 e quelli per reati societari o falso in bilancio 3 («L’Espresso» del 22.02.2014). Un paese di onesti? Meglio avvalersi della facoltà di non rispondere...Saranno pochi, davvero pochi quelli che vanno, che usciranno dal carcere; saranno molti, invece, quelli che restano: per lo più poveri, emarginati, “ultimi”, in un circuito di disperazione che ha prodotto nel solo 2014, in meno di due mesi, venti decessi, di cui sette per suicidio (fonte: Ristretti Orizzonti al 21.02.2014). A seguito della morte – con modalità che lasciano sgomenti – di un detenuto nella Casa di reclusione di Milano-Opera, l’11 febbraio scorso, la Garante per i diritti delle persone private della libertà personale ha dichiarato che il carcere «deve trasformarsi in un istituto più aperto, con percorsi e trattamenti di reinserimento sociale». Percorsi e trattamenti che oggi risultano impraticabili e che comunque richiedono risorse e competenze.«Salutai i compagni con cui avevo diviso tutto il periodo di permanenza, – scrive il Detenuto Ignoto a cui è concesso di scontare la pena al domicilio - fui dispiaciuto, non tanto perché me ne andavo ma perché loro rimanevano».
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