«Con i ragazzi bisogna essere duri», ci ricorda Italo Calvino, e questo vuol dire che quando sbagliano o dicono stupidaggini, dobbiamo intervenire e fare la nostra parte di educatori. Ovvero dobbiamo essere pronti a correggerli, a rimproverarli e all’occorrenza, se necessario, dobbiamo essere pronti anche ad alzare il tono della voce. Dobbiamo far sentire, con tutto il peso possibile, il nostro risentimento per i loro errori, per le loro sciocchezze che mai devono essere trattate con sufficienza o, peggio ancora, con indifferenza. Dobbiamo rispondere sempre con grande fermezza e soprattutto, se crediamo in quello che diciamo e in quello che facciamo, non dobbiamo cedere alle loro continue richieste consumistiche, dettate più che altro dall’incapacità di discernere l’utile dall’inutile. Se li vediamo con il broncio o con uno sguardo truce, non ci dobbiamo preoccupare. Affrontiamoli, perché ci stanno dicendo qualcosa. Facciamoli parlare anche se affidano il loro pensiero a toni stizziti o a frasi roboanti. Non lasciamoci impressionare dalle loro reazioni. Scaricare le emotività soffocate, pare che faccia bene alla salute. E’ bene che di tanto in tanto vadano incontro ad amare delusioni, perché solo così si impara a dominare le tensioni che da esse sono originate; solo così è possibile sperare di vederli un domani più sicuri nel gestire delusioni senza per questo sentirle addosso come umiliazioni. Se chiudono ogni forma di dialogo con noi adulti è perché si ritengono ingiustamente colpiti nelle loro richieste non esaudite o toccati nei loro affetti più cari. Non preoccupiamoci più di tanto. I diversi nostri «no» di oggi, saranno spunti di razionalità dei diversi loro «sì» di domani. Saper dire «no» è un’arte che va insegnata ai propri figli, come un artigiano insegna i segreti del mestiere al proprio apprendista. Talvolta il loro silenzio casalingo preoccupa più del loro chiasso amicale. A tal proposito è bene ricordare che i ragazzi molto spesso sono tanto loquaci con i coetanei, quanto silenziosi con i genitori. Questo vuol dire che hanno fatto le loro scelte. C’è un’età in cui veniamo a scoprire che genitori, insegnanti, adulti in genere, messi insieme contano meno di un solo amico, di un solo coetaneo. Ma poi i figli crescono e le mamme invecchiano, talché l’amore per i genitori torna a crescere a dismisura. Tutto questo per capire le ragioni che talvolta spingono certi ragazzi a forzare i comportamenti per rifugiarsi in azioni poco razionali. E’ il caso, ad esempio, di un ragazzino di 15 anni studente al Liceo Scientifico «Grassi» di Saronno che per un brutto voto, decide di sparire dalla circolazione, lasciando nella disperazione i genitori e nell’angoscia gli amici. Le incessanti ricerche portano, per fortuna, volontari e forze dell’ordine, mobilitate in massa, sulle sue tracce. Il ragazzo viene ritrovato disteso su un panchina in pieno centro di Lomazzo, una cittadina in provincia di Como. Per un’intera giornata un brutto voto ha gettato nello sconforto e nell’angoscia un intero paese. Un brutto voto ha gestito, per un attimo, la mente di un adolescente fino a suggerirgli di allontanarsi da casa. Siamo di fronte a un adolescente che non ha retto alla delusione causata da un brutto voto; a un ragazzino che non ha saputo anteporre il buon senso alla storia di un insuccesso. Ma se non si è preparati a vivere con equilibrio e dignità una sventura, un fiasco, un insuccesso, come un brutto voto, allora c’è poco da dire in fatto di sopportazione. Diversa la storia di altri due studenti minorenni, che per far fronte alle spese personali, ovverosia a qualche desiderio impossibile per la loro età, decidono di spingersi su un crinale pericoloso. Da bravi baby predoni dell’era moderna, pianificano e rapinano una banca a Melzo. Tensioni e violenze si scaricano su ignari clienti e increduli impiegati. L’operazione, però, non va a buon fine. I due dopo il colpo, peraltro riuscito, tentano una fuga precipitosa per tornare a casa a studiare, ma qualcosa va storto. Dopo un caotico inseguimento vengono catturati. Ai carabinieri l’amara sorpresa. Si tratta di due studenti di Giugliano in Campania, un grosso centro in provincia di Napoli, con nella testa l’idea delle «missions impossibles»: le rapine in trasferta. Partono di buon’ora, prendono l’autostrada in direzione nord, rapinano una banca e tornano a casa. Il tutto nell’arco del tempo scuola. Ai genitori la dolorosa notizia. Non sono a scuola a studiare, ma al Beccaria a riparare i debiti. E anche in questo caso a questi nostri due eroi della trasferta avventurosa avrei parlato di Chilone, un altro dei sette saggi di Atene con il suo: «domina l’ira e non desiderare l’impossibile». E invece un sogno impossibile ha accompagnato per un tratto di strada, la vita di due ragazzi: studenti per anagrafe ministeriale, rapinatori per scelta di vita. La saggezza antica, dunque, al servizio dei ragazzi? E perché no. Proviamo a spiegare ai nostri studenti quanto giusto sia imparare a sopportare le ingiustizie, le delusioni, a masticare amaro, a soffocare gli eccessi emotivi, ad affrontare i tanti «no» dei genitori (che almeno ci fossero). A casa come a scuola può capitare di dover fare i conti con qualche imprevisto, con qualche smacco, ma anche con qualche amico provocatore, con qualche insegnante insensibile, con qualche brutto voto ritenuto frutto di un’ingiusta valutazione. Bisogna che qualcuno insegni ai ragazzi a dominare i salti d’umore, a vivere in modo sano e corretto l’ozio, che non vuol dire andar per banche o per panchine, a saper distinguere ciò che è affidabile da ciò che affidabile non è. E se mai occasione non dovesse presentarsi, è bene che qualche adulto si presti a provocarla. Bisogna insegnare l’arte di non lasciarsi trascinare da spasmodici desideri tanto capziosi, quanto illeciti, ma resi attraenti da false speranze. Non si costruisce il proprio futuro lasciandosi andare allo sconforto o lasciandosi catturare dai desideri impossibili. Che qualcuno insegni ai ragazzi a sognare….. che è meglio.
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