“Non vorremmo che le generazioni future debbano dire che siamo stati degli sciocchi egoisti, che ci siamo fatti abbagliare dal falso luccichio del denaro e abbiamo svenduto e perduto la ricchezza vera. Dobbiamo riconoscere che tanto scempio è stato causato dalla prepotenza affarista di alcuni, ma anche dal silenzio di tanti. Silenzio non solo segno di un comprensibile atteggiamento di paura, ma spesso espressione di un vivere nell’indifferenza, nel disinteresse per tutto ciò che non ci appartiene direttamente”. Così, nella sua lettera pastorale, il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, sul problema dei rifiuti, che devasta la cosiddetta “Terra dei fuochi” e rende impossibile la vita in quel territorio.Carmine Schiavone, per lunghi anni “amministratore delegato” del clan dei casalesi, pentito dal 1993, ha rilasciato a Sky nel mese di agosto, un’intervista agghiacciante, nella quale - oltre ad auto-accusarsi di aver ordinato centinaia di omicidi - racconta dello sversamento dei rifiuti tossici operato dalle organizzazioni criminali. Schiavone ha parlato di vernici, rifiuti farmaceutici, rifiuti chimici, rifiuti ospedalieri, cassette termonucleari e fanghi termonucleari, provenienti da società di Milano, Pisa, Verona, Roma, ma anche dalla Germania, dalla Francia e dall’Austria ed ha elencato le zone usate come discariche: Casale, Castel Volturno, Santa Maria La Fossa, Grazzanise, le cave di sabbia del lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli, il sud Pontino, in provincia di Latina, zona controllata dal clan dei casalesi. Rifiuti interrati fino a 18 metri di profondità, che hanno inquinato le falde acquifere e che hanno concorso, in maniera determinante, agli elevatissimi tassi di mortalità e morbilità presenti in quelle zone.Probabilmente, ha ragione don Maurizio Patriciello, parroco “anti-roghi” di Caivano, che ha invitato Schiavone a essere più preciso relativamente all’indicazione dei luoghi dove sono stati commessi questi soprusi e questi crimini. Resta il fatto che il problema delle bonifiche di quei territori è reale e come ha ricordato in occasione delle celebrazioni delle Cinque Giornate di Napoli, il presidente della regione Campania, Stefano Caldoro: “Non bastano le risorse ordinarie. Servono più fondi, risorse aggiuntive”.Serve, soprattutto, che lo Stato agisca, non solo con la repressione - in base al rapporto “Ecomafia 2012” di Lega Ambiente, l’anno scorso sono stati 34.120 i reati accertati, 28.132 le persone denunciate, 8.286 i sequestri - ma con la prevenzione, che si deve scontrare con le insidie di un malaffare che nel suo insieme fattura 16,7 miliardi di euro, gestiti da 302 “clan” criminali, concentrati nelle Regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia), dove si consumano il 45,7% dei reati ambientali. Come ha giustamente sottolineato di recente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, “va sviluppata la più attenta vigilanza da parte delle istituzioni, affinché, attraverso il ricorso a tutti i più efficaci mezzi di indagine e coordinamento investigativo, sia assicurato il massimo contrasto delle attività illecite contro l’ambiente” ed è necessario “far crescere, specie tra le giovani generazioni, la cultura del rispetto e della difesa dell’ambiente e diffondere nella società civile una matura consapevolezza ambientale”. Senza l’attuazione di questi presupposti, l’inserimento nel Codice penale dei reati ambientali - pur necessario - e l’idea espressa da molti di ri-costituire una commissione d’inchiesta parlamentare su questo fenomeno, sarebbero “scatole vuote”.
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