Non c’è pace nel mondo dei social network. La fame di guadagni e, forse, un modello di business non così solido come era sembrato all’inizio, sta facendo cambiare continuamente le strategie dei grandi colossi del web 2.0. Insieme con le nuove applicazioni che nascono ogni giorno, Facebook adesso ha deciso di modificare anche la sua caratteristica più nota, il meccanismo degli “I Like”. La manina con il pollice alzato è stata fin dall’inizio il cavallo di battaglia della macchina messa in moto da Zuckerberg nel 2004 (e sembra un secolo). A seconda della quantità di “I Like”, i motori di Facebook per anni hanno potuto “segmentare” le abitudini e i gusti di milioni di persone in tutto il mondo (solo in Italia sono più di venti milioni gli iscritti). Queste informazioni erano poi rivendute per le pubblicità “mirate” che infatti poi compaiono sui diari dei singoli iscritti. Nacquero poi anche le Fan Page. A differenza delle “lavagne” dei singoli iscritti che hanno una limitazione di “amici” (non possono superare la cifra di duemila per ogni singolo diario), la fan page invece non ha limiti. Chiunque può cliccare “I Like” sulle fan page che di solito vengono costruite dai grandi marchi (bibite gassate, vestiti, hi tech, ecc.), dagli editori, dai partiti politici e anche da singoli personaggi pubblici. I numeri di manine, in quel caso, possono diventare impressionanti. Si parla di milioni e milioni di “I Like”. Queste grandi platee di “fan” vengono raggiunte da quello che in gergo si chiama “news feed”. Ogni nuovo post della “fan page”, compare anche nel diario del singolo iscritto. In realtà le cose non sono mai andate in questo modo. Si tratta di un fenomeno che gli esperti hanno iniziato ad analizzare già da tempo. Agli inizi, i post delle fan page raggiungevano mediamente una persona su cinque della comunità dei “likers”. Gli algoritmi di Zuckerberg valutavano alcune funzioni come la quantità di “like” sui singoli post o le azioni di condivisione con i propri amici per decidere chi dovesse essere raggiunto dal “news feed”. Con il tempo questa percentuale è andata calando. Secondo gli analisti siamo precipitati ampiamente sotto l’8%, neanche una persona su dieci. Il dato, per la prima volta, è stato confermato dalla stessa Facebook. È stato “Ad Age Digital” (il “Variety” del marketing Usa), a dare la notizia con un titolo forte. “Facebook Admits Organic Reach Is Falling Short, Urges Marketers to Buy Ads”, hanno scritto. “Organic Reach”, nel linguaggio marketing di Facebook, è la definizione tecnica del meccanismo che dovrebbe diffondere automaticamente ogni nuovo post (il “news feed”) di una fan page alla comunità di persone che hanno “cliccato” almeno un “I like”. Con un documento ufficiale, intitolato “Generating business results on Facebook”, i manager di Zuckerberg affermano che ci sarà “una decrescita nel tempo della distribuzione organica dei post di una singola pagina”. La soluzione, secondo Facebook, è scontata. Per “rendere sempre più significativa l’esperienza che le persone hanno con la nostra piattaforma”, i responsabili della politica commerciale di Facebook, invitano gli amministratori delle pagine dei marchi a “prendere in considerazione la distribuzione pagata per massimizzare la prestazione del messaggio all’interno del news feed”. Con il nuovo sistema, per esempio, le fan page delle trasmissioni televisive che confidavano nel numero dei “like” per distribuire contenuto informativo ai propri potenziali telespettatori adesso dovranno azzerare tutto. Potranno raggiungere la base dei propri “likers” solo se saranno disposte a pagare una sorta di pedaggio a Facebook, per ogni singolo post.Secondo uno dei massimi esperti italiani di social media, Andrea Materia (fondatore e amministratore di Greater Fool Media): “La quotazione in Borsa di Facebook ha accelerato un processo che può sembrare paradossale, ma che è una logica evoluzione commerciale. Facebook è una piattaforma ormai generalista come composizione demografica, con incrollabile presa sull’attenzione degli utenti. Le differenze con le infinite Rai e Mediaset del mondo erano destinate ad affievolirsi per forza. Se i brand pagano ogni volta che un loro spot viene veicolato in tv, era inevitabile che un dazio prima o poi dovesse essere pagato per veicolare i loro post anche su Facebook. Il problema si pone per chi non è un grande brand, i local business ad esempio, che puntavano tutto sulla Organic Reach”. Una rivoluzione. Dopo anni di dibattiti sul “marketing virale”, sugli effetti dell’engagement dei singoli utenti (la vendita dell’“attenzione degli utenti” che doveva rivoluzionare il concetto stesso di advertising) e sulla segmentazione del pubblico, siamo tornati indietro, alle vecchie e consolidate regole della tv commerciale. Vuoi le “teste”? Allora paga.
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