Sapete? Sono straniero nella mia nazione

«Sos bilancio negativo se mi chiamano straniero nel posto dove vivo. Sos pronto all’esecuzione se mi chiamano straniero nella mia nazione...». Parola di Amir, rapper italiano di origini egiziane, che – come lui stesso ha scritto nel dicembre 2012 al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - «più volte, nelle sue canzoni, ha dato voce ai ragazzi di seconda generazione», alle cosiddette G2, i giovani che pur essendo nati in Italia hanno passaporto straniero in ragione della cittadinanza dei genitori. Non sono pochi, questi bambini e bambine, ragazze e ragazzi: mezzo milione, poco più, poco meno, a fronte dei 982.651 minori stranieri censiti dall’Istat al 1° gennaio di quest’anno. Nonostante i ripetuti segnali d’allarme, il flusso migratorio verso il nostro paese è ormai stabilizzato: le persone straniere residenti in Italia al 31 dicembre 2012 sono 4.387.721 (7,4% della popolazione), con un aumento dell’8,2% rispetto all’anno precedente, dovuto ai nati in Italia e ai ricongiungimenti familiari, in misura minore all’ingresso di nuovi lavoratori (fonte Caritas e Migrantes, XXIII rapporto immigrazione, gennaio 2014). In crescita anche il numero di alunni con cittadinanza non italiana inseriti nel nostro sistema scolastico: 786.630 (8,8% del totale), con un incremento del 4,1% rispetto all’anno precedente (fonte: MIUR, ottobre 2013); anche in questo caso, però, l’incremento è dovuto ai nati in Italia, che sono il 47,2% degli studenti stranieri totali (al contrario, i nuovi ingressi costituiscono appena il 3,7%). Straniero a chi, dunque? Straniero è soltanto il passaporto, perché questi minori sono nati e cresciuti in Italia, amano il nostro paese e lo vivono nella propria quotidianità. Eppure non ne sono cittadini. Quali individui, sono esclusi dalla condizione di appartenenza allo stato nel quale risiedono, segnatamente quello italiano. La cittadinanza, in una moderna democrazia, significa godimento di diritti civili, etico – sociali, economici, politici (declinati in base alla Costituzione repubblicana). In altre parole, diritto di cittadinanza significa pienezza di diritti e assunzione di doveri nell’ambito della comunità; possibilità di scegliere il luogo in cui vivere, indipendentemente dal paese di origine; opportunità di perseguire una convivenza serena, nel rispetto reciproco; riconoscimento di elementi comuni tra persone differenti; pari dignità e pari opportunità. Le ragioni dell’esclusione risiedono nella legge per l’acquisizione della cittadinanza in vigore in Italia, che è ispirata allo “ius sanguinis” (il diritto di sangue, ovvero l’acquisto della cittadinanza per discendenza) e non allo “ius soli” (il diritto di suolo, ovvero l’acquisto della cittadinanza per residenza). Il primo si richiama ai concetti di stirpe e sangue, gerarchia tra i popoli, cittadinanza “chiusa”; il secondo a quelli di terra e lavoro, uguaglianza tra i popoli, cittadinanza “aperta”. Dunque, in base allo “ius sanguinis”, la cittadinanza si acquista per discendenza: è cittadino il figlio o la figlia di due persone con cittadinanza di quel determinato paese; mantiene la cittadinanza e la trasmette alla propria discendenza chi emigra in altro paese, conservando comunque i diritti politici a essa correlati (è il caso di nostri connazionali i cui avi sono emigrati, per esempio, in Argentina o Brasile). In base allo “ius soli”, la cittadinanza si acquista per residenza: è cittadino il figlio o la figlia di due persone che risiedono e lavorano in quel determinato paese (con tempi variabili). «La cittadinanza è uno strumento per migliorare l’integrazione»: così la Commissione delle Comunità Europee, nel 2005. La maggior parte delle nazioni europee – a partire dalla Francia - prevede infatti la concessione della cittadinanza in base a un sistema misto, che consideri sia il diritto del minore, sia la stabilità e la regolarità sul territorio dei genitori. Non l’Italia, che mantiene invece una legislazione severa e ormai anacronistica (Legge 91/1992): la cittadinanza è infatti richiedibile dopo dieci anni di permanenza stabile e regolare sul territorio nazionale; costituisce una concessione, non un diritto: lo Stato si riserva infatti ben 730 giorni di tempo per la risposta, che talvolta non dà neppure. Nello specifico delle G2, i giovani stranieri nati Italia e che hanno soggiornato nel paese senza interruzione possono richiedere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno di età (e comunque non oltre il diciannovesimo). I non nati in Italia, invece, se non hanno conseguito la cittadinanza durante la minore età unitamente a un genitore richiedente, ne sono esclusi; una volta adulti a pieno titolo - ovvero dotati dei requisiti richiesti -, seguiranno la procedura standard.È opportuno, invece, ampliare i casi di acquisizione della cittadinanza italiana in base allo “ius soli” (ora limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori), prevedendo innanzitutto una diminuzione degli anni di residenza legale e continuativa richiesti a un minore nato in Italia che voglia divenire cittadino del nostro paese.Concedere la cittadinanza onoraria (nell’ambito di un comune, come avviene ora a Lodi) alle ragazze e ai ragazzi di origine straniera nati in Italia e residenti in città è pertanto un gesto di forte valenza simbolica, che ha per fine di migliorare l’integrazione. Non c’è ragione per non farlo: la pratica di deumanizzare l’altro – in questo caso lo straniero - produce comunità disgregate e fragilità sociale; la scelta di valorizzare la comune umanità genera invece nuovo patto sociale e pacifica convivenza, che per tutte e tutti – uomini e donne, giovani e anziani, italiani e stranieri – rappresenta la “vera” sicurezza.

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