Dovremmo esserci ormai abituati, e invece no. Non passa giorno che non ci sia un politico, o gruppi di politici che vengano presi con le mani nel sacco. Carcerati, indagati, sospettati, latitanti, destinati ai servizi sociali per scontare condanne definitive… Proprio un bel campionario! Credevamo che tangentopoli fosse un punto di non ritorno, invece proprio da lì si è ripartiti per una nuova, degenerata fase. Tornano alla ribalta persone che avrebbero dovuto sparire. Le abbiamo tollerate, oppure perdonate, oppure ignorate, oppure abbiamo chiuso gli occhi e ci siamo ristretti nei nostri piccoli interessi, nel nostro pezzo di perbenismo, oppure ancora abbiamo creduto che le cose si aggiustassero da sole? Ci siamo illusi che la politica si autorigenerasse, o che qualcun altro ci pensasse, al nostro posto. E’ sempre più evidente che il denaro non puzza, da qualsiasi letamaio provenga, ed ha continuato ad inebriare coscienze laiche e cristiane. Si dovrebbe imparare dagli scandali, che anche il vangelo ritiene opportuni, perché da essi dovremmo allontanarci: invece niente, siamo sempre daccapo. La reazione più scontata è il distacco dalla politica, dalla partecipazione, anche quella minimale che si esprime con il voto che invece rimane, anche in questi giorni di elezioni locali e europee, forse l’ultima parola possibile per farci sentire e per riparare ai vuoti di omissione. Anche se quotidianamente scandalizzati, non paga arrendersi: un voto, anche se conta come una goccia nell’oceano, vale ancora qualcosa. Non sprechiamolo. Nello stesso tempo, tuttavia, chiediamoci se nel ventennio trascorso noi c’eravamo oppure, pur essendoci, abbiamo guardato dall’altra parte e abbiamo lasciato campo libero a gente che si è servita del bene comune, che ha scalato per il posto, perché il posto abbondantemente assicurava denaro, privilegio, potere, prestigio. Proprio tutto quello che l’antipolitica condanna e che spinge al non voto. Forse qualcuno si è salvato, perchè non è giusto sparare nel mucchio, tuttavia chi non si è sporcato, o ha contato poco, o non ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente il marciume in cui si è trovato. Chi ha detto: io qui non ci sto, lascio la poltrona e ritorno a casa mia? E da parte nostra, personale o di gruppo, comprese le varie agenzie educative e culturali, cosa si è fatto? O meglio cosa non si è fatto? Per non toccare apertamente i protagonisti, abbiamo finito per avallare indirettamente la demolizione dei valori di democrazia, di giustizia, di solidarietà, di moralità pubblica, di quella dignità da riconoscere a ciascuno. Troppi silenzi, quanti egoismi, quante omissioni che sapevamo fossero colpevoli! Allora evitiamo per il momento di bloccarci di fronte agli scandali dei politici e della politica, e facciamo ancora una volta la nostra piccola parte andando ancora a votare, se non altro per non dare soltanto ad altri il privilegio di scegliersi persone di dubbia capacità. Quanto avviene al di fuori di noi, della nostra famiglia, del nostro gruppo o della nostra comunità, tutto ci deve interessare, soprattutto in questo momento di confusione generale. La crisi, nazionale e globale, ci ha insegnato che non è più possibile pensare corto, perché il mondo è cambiato: ha abbattuto frontiere economiche e politiche, ha messo a confronto e scontro culture diverse da armonizzare per prendere da ciascuna quello che di buono offre. Ci sono mancati i maestri, tradizionali o nuovi, o, se ci sono stati non li abbiamo ascoltati perché temevamo che ci chiedessero di rinunciare a qualcosa di nostro, creato e difeso per nostro esclusivo uso e consumo. Abbiamo svenduto per niente la cultura della solidarietà, dell’etica condivisa, della tradizione personalista, e molte volte solo per evitare scontri, anche nelle nostre comunità. Ci ha fatto difetto la cultura del dialogo, del confronto, dell’annuncio coraggioso o della denuncia discreta e, dove possibile, della correzione fraterna. Forse non ci siamo mai trovati un una situazione tragica come quella attuale e oggi ci sembra che l’unica strada sia quella del mollare tutto e lasciare che si tocchi finalmente il fondo sperando, poi, di tornare a galleggiare. La storia di questi decenni ci ha mostrato che al fondo non si arriva mai, e domani magari ci attende un’altra sorpresa sconcertante che ancora di più potrebbe giustificare l’abbandono. Sperare contro la speranza: è l’invito che ci viene anche da Papa Francesco che è rimasto, fortunatamente, un punto di luce sincera in questo buio totale. Facciamo ancora uno sforzo per non abbandonarla: cerchiamo di conoscere, di indagare, di discernere, per alimentarla, ma non lasciamocela rubare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA