Quando un preside chiama la polizia e fa arrestare uno studente, allora vuol dire che la situazione si è fatta davvero preoccupante nelle nostre scuole. È successo la scorsa settimana in un istituto superiore di Milano dove un ragazzo di 15 anni si era dato al commercio di stupefacenti all’interno della scuola. Non è un nuovo rito ambrosiano. Il triste fenomeno ha varcato l’Adda ed è entrato anche nelle scuole del territorio che fu del Barbarossa. Un vero e proprio business si consuma dietro le lavagne con molti pesciolini che abboccano e pochi baby faccendieri che si gongolano dei lauti guadagni. Situazioni drammatiche che però vengono ridimensionate dalle nuove mode sociali portate più a rassegnarsi che a capire, più a giustificare che a correggere. Mai come in questi ultimi tempi il Beccaria ha aperto le porte a tanti piccoli imprenditori in erba, poco più che adolescenti, cresciuti tra molti vizi e poche virtù. E’ ancora vivo il ricordo dei due ragazzi di un liceo milanese, abili commercianti quanto esperti imprenditori, capaci non solo di ricavare buoni utili dallo spaccio, ma anche di saperli sapientemente e abilmente investire, puntando su una gestione degli affari che trovasse una sua logica nell’acquisto di partite di droga sempre più consistenti. Storie la cui quotidianità porta verso un’indifferente assuefazione che conduce, immancabilmente, ad annacquare l’idea stessa di dignità violata. Ma ciò che non deve sfuggire è che qui stiamo parlando di ragazzini tra i 13 e i 15 anni, amabilmente classificati come «ingenui sbarbatelli». Eppure colpisce da una parte la tracotanza di questi ragazzini pronti a trascurare la colazione di latte e caffé per sostituirla con un preciso bilancino utilizzato per preparare le dosi da smerciare tra i nuovi disperati. Per questi ragazzi non c’è tempo per la colazione. Dall’altra la disarmante ingenuità dei genitori sempre increduli di fronte alle capacità affaristiche dei propri figli. Siamo testimoni di un triste fenomeno sociale che non trova riscontro in altri tempi. Quindicenni che anziché vivere la poesia della propria età, preferiscono correre il rischio e giocare con la durezza dell’esperienza della vita carceraria. Quindicenni che finiti i periodi di riabilitazione dalle tossicodipendenze, fanno fatica a rientrare in un normale circuito sociale, con sconosciute prospettive sul proprio futuro. Sbarbatelli che giocano a fare i narcotrafficanti sullo stile del Cartello di Medellin. Che disastro! E non siamo più di fronte a fenomeni isolati. E’ triste sapere che la scuola è diventata il luogo privilegiato dove facce pulite portano a termine affari sporchi. Molti dei fatti accaduti sono avvenuti nelle nostre scuole, tra aule, bagni, cortili e corridoi. Ma cosa sta succedendo a questi ragazzi? Perché tanti sono attratti dai certi strani traffici? La risposta non è difficile. Difficile è accettare l’idea che oggi, con sempre più convinzione, dobbiamo fare i conti anche con queste amarezze, con queste sconfitte, con l’idea che le difficoltà educative dei genitori sono pari ai disastri vissuti dai ragazzi come esperienze di vita, dure quanto vuoi, ma ritenute evidentemente necessarie per poi spenderle a proprio vanto nella vita di gruppo. Quando i genitori si mettono sullo stesso livello dei figli, quando una famiglia, talvolta monoparentale, vive come fatto normale un’esistenza separata tra le stesse mura domestiche, quando non c’è più controllo educativo, allora non aspettiamoci che la vita sorrida. Il dato drammatico è che tutto questo avviene alla luce del sole. Acquistare partite di droga, è una normale operazione commerciale fatta all’aria aperta, talvolta vissuta sotto gli occhi indifferenti di passanti o sguardi preoccupati del vicinato. Preparare le dosi è un piccolo, divertente lavoro domestico, di semplice applicazione che si può fare in casa con un minimo di attrezzatura. E i genitori? Dove sono i genitori mentre il proprio angioletto tira fuori il bilancino, prepara le dosi, le confeziona e le sistema in cartella? Qualcuno in casa fa domande anche se impertinenti? Pare che le nuove teorie educative plaudono sia alla conquistata autonomia dei singoli componenti il nucleo famigliare, sia all’imperante «lassaiz faire, lassaiz passer» a garanzia del liberismo affaristico sempre più applicato. Questa la nuova frontiera sociale. Smerciare le dosi accuratamente preparate, non è un problema se i luoghi sono le scuole, i locali di svago, o anche il sagrato di una chiesa, come avvenuto di recente a Terrazzano, frazione di Rho dove il florido commercio di spaccio era portato avanti da un minorenne. Sono luoghi aperti, a forte impatto sociale e quindi considerati virtualmente e strategicamente rispondenti alle più rosee quote di mercato, gestite da ragazzini apparentemente senza problemi, salvo poi scoprire essere figli dimenticati dalla voglia educativa di adulti non cresciuti. D’accordo oggi assistiamo all’affermarsi di un preoccupante relativismo anche in ambiti fino a qualche tempo fa ritenuti immuni da inquinamenti culturali. E la famiglia è uno di questi ambiti. Non più solida come un tempo, la famiglia, come istituzione, è oggi messa a dura prova. Non è più considerata come luogo educativo privilegiato, non è più valorizzata come scelta responsabile tra coniugi, non è più vista come espressione autentica di un rapporto con i figli. Ed è così che si finisce col toccare il fondo. Vorrei concludere con quanto ho recentemente ascoltato per radio mentre in un pomeriggio afoso, in macchina, mi recavo a Milano. Gli ascoltatori sorteggiati dovevano dare la giusta risposta a un quiz. In palio una vacanza per due persone. Dopo alcuni concorrenti si arriva alla vincitrice: moglie e mamma felice. Almeno così racconta. Alla domanda con chi sarebbe andata in vacanza, la risposta ha lasciato sbalorditi gli stessi conduttori. In vacanza, la signora, ci sarebbe andata assieme al marito e all’amante oramai ben affiatati e ben amalgamati come nucleo famigliare. Tutti insieme a vivere appassionatamente l’esperienza di scoprire la reciproca solidarietà tra persone bisognose di affetto, giusto come si addice a un vero gruppo famigliare. Non mi scandalizzo. Scuoto la testa. E’ lo specchio dei tempi.
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