Svuotacarceri? Ma no, sono tutte piene

L’avevano battezzata «legge svuotacarceri», però mai nome si rivelò più sbagliato. Perché «non ha svuotato nulla», come fa sapere il Gruppo Abele, il giudizio del quale è condiviso dall’associazione Antigone. Poiché i numeri confermano quanto era (anche) stato largamente previsto.La previsione governativa era che nel giro di un anno avrebbe fatto uscire dalle patrie galere almeno 8mila detenuti, riducendone sensibilmente l’affollamento, ormai oltre il limite della tolleranza. La realtà sembra andare assai diversamente: in cinque distretti presi come campione, sono appena novantatré le persone che hanno ottenuto il beneficio, stando al monitoraggio effettuato qualche giorno fa da Radiocarcere, rubrica in onda su Radio Radicale.Si tratta di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Campania e i dati arrivano dai relativi magistrati di sorveglianza. Così, in Lombardia si sono registrate dodici concessioni dei domiciliari, in Emilia Romagna due, in Toscana quindici, nel circondario di Roma (comprendente cinque istituti di pena) sono state concesse trenta detenzioni domiciliari e trentaquattro nel circondario di Napoli. Sarebbe a dire, facendo una proiezione puramente matematica, che a questi ritmi in un anno si arriverebbe – stimando un numero nazionale – a duemila o poco più concessioni di domiciliari. Cifre e ritmi che per altro non c’è stato verso di farsi confermare, né smentire dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria presso il ministero di Grazia e Giustizia... E tuttavia il giudizio degli addetti ai lavori «è severo».Certo è che una legge «fatta in quel modo non poteva «svuotare» alcunché – spiega Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele – perché non ha tenuto conto che le carceri sono popolate soprattutto da stranieri e soprattutto da persone tossicodipendenti italiane». Quindi la «svuotacarceri» è inattuabile per gli stessi motivi per i quali non vengono applicate, su quegli stessi detenuti, alcune misure già previste, perché stranieri e tossicodipendenti o non hanno più la casa dove scontare la pena residua o mancano strutture alternative che li accolgono.È una faccenda di automatismi: «Con la cancellazione dal testo di quello che prevedeva gli arresti domiciliari nell’ultimo anno di pena, non si porta nessuna novità – aveva subito annotato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella – perché i giudici avevano già la possibilità di decidere se mandare o meno ai domiciliari un detenuto, applicando le misure alternative». Tutt’altra storia sarebbe stata, al contrario, se si fosse mantenuto quell’automatismo originariamente previsto nel testo della legge e «circa 7mila persone avrebbero beneficiato dei domiciliari». Adesso la situazione resta né più, né meno come prima. Il magistrato di sorveglianza deve cioè ritenere, per concedere i domiciliari, che il detenuto non reiteri il reato e non scappi: «Chi si carica di questa responsabilità? E se poi le cose andassero male?», si chiede Leopoldo Grosso. Mentre un’altra domanda sorge inevitabile: a cosa è, sarebbe, servito fare questa legge? «O è stata un’ingenuità, a voler dare una benevola interpretazione – secondo Grosso – nel senso che non sono state interpellate le persone più competenti prima di redigere la legge» oppure «si è voluto soltanto dire «abbiamo fatto qualcosa» disinteressandosi delle conseguenze».

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