La catastrofica alluvione in Georgia, fissata nelle immagini degli animali dello zoo smarriti nel centro di Tbilisi; l’ondata di siccità storica nei Caraibi; la canicola asfissiante che ha tormentato in luglio le notti degli italiani; le ‘bombe d’acqua’ e gli eventi climatici estremi che hanno colpito la nostra Penisola in questi giorni di agosto. Sono tutti segnali che i cambiamenti climatici, all’apparenza un’eccezione, rischiano invece di diventare la regola. E in arrivo quest’anno c’è il famigerato Niño, pronto a distribuire piogge torrenziali o arsura in mezzo mondo, con un impatto negativo in termini sociali, di crescita economica e di inflazione globale. Non a caso il 2015 potrebbe essere l’anno più caldo della storia, con il record precedente che risale solo al 2014. Lo fa sapere l’agenzia americana Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) che ha di recente pubblicato il rapporto sullo Stato del Clima nel 2014 sulla base dei dati raccolti da 413 scienziati provenienti da 58 Paesi del mondo. Gli studi degli esperti non fanno che confermare la straordinaria urgenza dell’appello affidato da Papa Francesco all’enciclica Laudato si’.
«I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità», si legge nella prima enciclica firmata da questo Pontefice.
L’allarme degli scienziati arriva inoltre a pochi mesi dal summit di Parigi, che a dicembre vedrà circa 190 Paesi impegnati a trovare un accordo per ridurre le emissioni inquinanti che rimpiazzi il Protocollo di Kyoto. Secondo la Noaa nei primi 6 mesi dell’anno il riscaldamento globale ha già segnato un nuovo record storico. La temperatura media delle terre emerse e degli oceani ha superato di 0,85 gradi centigradi la temperatura media del ventesimo secolo, come non era mai accaduto dal 1880, anno di inizio delle rilevazioni. A giugno, il più caldo della storia, lo scarto è stato di 0,88 gradi, contro gli 0,12 di un anno fa. Da record quest’anno anche febbraio, marzo e maggio.
Una tendenza che a questo punto dovrebbe essere confermata a causa dello scatenarsi del Niño, con fenomeni che potrebbero rivelarsi tra i più intensi di sempre. Gli esperti che monitorano la formazione di correnti calde nell’Oceano Pacifico hanno infatti constatato livelli paragonabili a quelli del 1997-98, quando El Niño, che si sviluppa da quelle acque, ebbe un impatto devastante in termini di cambiamenti climatici.
I modelli di previsione fanno pensare a un fenomeno intenso, al punto che qualche esperto parla di ‘Super Niño’ o addirittura ‘Godzilla’. Ma di certo sarà duraturo: sempre secondo gli studi c’è il 90% di possibilità che prosegua per tutto l’inverno e l’80% che continui fino alla primavera. El Niño si presenta solitamente ogni 6-7 anni. Fra il 1997 e il 1998 l’evento fu uno dei più intensi mai registrati, portando a siccità diffusa, inondazioni e alla distruzione del 16% dell’habitat delle barriere coralline. Le forti precipitazioni innescarono una grave epidemia di febbre della Rift Valley nel Nord-Est del Kenya e in Somalia meridionale. La temperatura dell’aria si riscaldò di 1,5 °C, rispetto al consueto aumento di 0,25 °C associato ad eventi del Niño.
Uno studio del Credit Suisse ha stimato le possibili conseguenze economiche di una nuova ondata, citando le previsioni di un «clima più umido o siccità in tutto il Sud Est Asiatico, il Pacifico, l’Australia, l’America Latina e gli Stati Uniti», con un impatto invece limitato in Europa. I principali effetti negativi si avranno sulla produzione di materie prime agricole, con «una minore produzione di grano negli Stati uniti e in Australia e di olio di palma nel Sud Est Asiatico», provocando «picchi nei prezzi e inflazione alimentare».
L’estrazione di metalli dovrebbe essere soggetta a interruzioni della produzione, «ad esempio il nickel in Indonesia», così come l’energia idroelettrica in Cina, Stati Uniti, Cile e Brasile, portando a «un aumento dei prezzi del carbone utilizzato come alternativa». Fra le altre materie prime potenzialmente colpite, secondo gli analisti della banca svizzera, anche riso, caffè, canna da zucchero, carne e latticini. Quanto al petrolio, di fronte a questi eventi, «i prezzi inizialmente salgono per la domanda di energia da parte di Paesi come India e Indonesia», stabilizzandosi poi al rialzo a seguito della maggiore domanda da parte di Cina e Stati Uniti. Il passaggio del fenomeno dovrebbe incidere per quasi l’1% del Pil in Indonesia e di oltre lo 0,6% in Sud Africa. L’inflazione provocata dall’aumento del cibo colpirebbe soprattutto il Brasile con un impatto di circa l’1,5%.
Uno scenario che ricalca perfettamente il messaggio contenuto in Laudato si’. «Molti poveri – scrive Papa Francesco nell’Enciclica – vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela». E ancora, aggiunge il Pontefice: «Questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo. Perciò è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di biossido di carbonio e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, ad esempio, sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile».
Intanto, in vista del summit di Parigi, i negoziati proseguono. Gli impegni già messi sul tavolo in vista della prossima conferenza Onu sul clima al momento sono di 46 Paesi, che coprono il 57% delle emissioni globali. Gli ambasciatori che lavorano alla bozza, un testo finora limato a 80 pagine, hanno concordato in particolare sul principio di arrivare a un accordo duraturo, perenne, con un meccanismo di revisione regolare ogni cinque anni che escluda qualsiasi marcia indietro. Restano comunque da superare la storica divisione tra Paesi industrializzati ed economia emergenti: l’obiettivo dei negoziatori è che ciascuno contribuisca per le proprie capacità. Il vertice sul clima si svolgerà dal 30 novembre all’11 dicembre a Le Bourget, a Nord di Parigi. La Francia punta però ad avere un testo condiviso entro ottobre.
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