Il 5 giugno 1981, giorno della pubblicazione di cinque casi di una rara forma di polmonite in giovani omosessuali di Los Angeles, è considerata la data che segna l’inizio della storia dell’Aids.In trent’anni, il mondo ha imparato a temere e curare la sindrome. Non ancora a vincerla. In ogni caso, si è prodotto uno sforzo collettivo, in tutti i continenti, per cercare di invertire quella che sembrava, e per certi versi ancora sembra essere, un’inarrestabile marea di contagi e di morti. L’anno scorso, in occasione del trentennale si sono tenute importanti iniziative internazionali. Riflessioni e dibattiti ispirati da alcuni dati di sfondo: in trent’anni sono stati 60 milioni gli individui (adulti e bambini) contagiati dall’Hiv, 30 milioni i morti riferibili alla malattia nello stesso periodo. E la progressione (attesta Unaids, l’organismo Onu che si occupa della pandemia) non si arresta.Tra gli appuntamenti per il trentennale, a fine maggio si è tenuto in Vaticano, organizzato dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, il convegno “La centralità della persona nella prevenzione e nel trattamento della malattia da Hiv-Aids”. «La Chiesa cattolica è stata profondamente coinvolta nella lotta contro la malattia fin dal suo primo manifestarsi, anche a motivo della capillare presenza delle proprie strutture sanitarie nelle regioni maggiormente colpite», ha ricordato il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di stato. E infatti le organizzazioni cattoliche sono fortemente coinvolte nella risposta globale all’Hiv, e le organizzazioni basate sulla fede forniscono fino al 70% dei servizi sanitari in alcuni paesi africani, soprattutto nelle aree rurali. La chiesa, che ha perseguito e persegue «l’educazione al superamento dei pregiudizi, il relazionarsi ai contagiati dal virus come a persone dotate di una dignità inalienabile – ha asserito Bertone – conferma il proprio impegno, nella duplice indivisibile dimensione della formazione delle coscienze e dell’offerta più ampia possibile di cure mediche accessibili a tutti e di strutture sanitarie avanzate, soprattutto dove maggiore è il bisogno».A giugno più di tremila persone, compresi numerosi capi di stato e di governo, si sono invece riunite a New York per la sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul tema, a dieci anni dalla precedente e a cinque dalla firma della dichiarazione politica in cui gli stati membri dell’Onu si sono impegnati a promuovere l’accesso universale alla prevenzione, al trattamento, alla cura e al supporto dell’Hiv. Il vertice è stato l’occasione per fare il punto sui problemi, i progressi e le sfide, e per delineare le future strategie di risposta all’Aids.Il segretario generale dell’Onu, Ban ki-Moon, ha proclamato il nuovo obiettivo della comunità internazionale: «Zero nuove infezioni, zero pregiudizi, zero decessi da Aids». Bisognerà lavorarci duramente, perché oggi nel mondo 34 milioni di persone hanno il virus Hiv, ma circa la metà di loro non sanno di soffrirne. Secondo le stime Onu, tra il 2001 e il 2009 le nuove infezioni nel mondo sono diminuite del 20%, e le persone che ricevono le terapie sono aumentate di 13 volte. Ma occorre «uno slancio di solidarietà globale», ha ammesso Ban ki-Moon, per garantire entro il 2015 l’accesso universale ai farmaci anti-Aids.Da questo traguardo, compreso negli Obiettivi del Millennio, siamo ancora abbastanza lontani. Alla fine del 2010, 6,6 milioni di persone erano in terapia con gli antiretrovirali (i farmaci che combattono l’Hiv), risultato impensabile solo qualche anno fa, ma altri 9 milioni di persone che avrebbero assoluto bisogno di iniziare la terapia non possono seguirla. Le organizzazioni religiose a New York hanno manifestato la preoccupazione per questo divario e per i possibili tagli ai finanziamenti dei programmi globali in materia. Caritas Internationalis ha per esempio sottolineato che 800 bambini muoiono ogni giorno per malattie correlate all’Aids e che i farmaci non sono sempre disponibili in dosaggi pediatrici.Moltissimi paesi, Italia compresa, hanno sottoscritto a New York una Dichiarazione che li impegna, entro il 2015, a dimezzare la trasmissione dell’Hiv per via sessuale e tra persone che si iniettano droghe, a garantire che nessun bambino nascerà sieropositivo e a portare a 15 milioni, a livello globale, il numero delle persone in terapia. Tale Dichiarazione arriva in un momento in cui l’attenzione e gli aiuti internazionali per la lotta contro l’Aids sono drasticamente calati, nonostante la maggior parte dei paesi più duramente colpiti dalla pandemia dipenda ancora largamente dal sostegno dei paesi donatori.Gli stati membri dell’Onu si sono comunque impegnati a colmare entro quattro anni il deficit finanziario (secondo l’Unaids, circa 6 miliardi di dollari l’anno) per combattere l’Aids.Tra i maggiori responsabili delle attuali difficoltà economiche del Fondo globale anti-Aids c’è l’Italia, che non paga la propria quota annuale dal 2009 (per un ammanco di 280 milioni di euro), nonostante i ripetuti appelli fatti al governo in questi anni dalla società civile nazionale e internazionale e dallo stesso Fondo globale.Con la cifra dovuta dall’Italia, si potrebbero fornire farmaci salvavita a oltre 100 mila persone che vivono con l’Aids.Su questo tema, e sulla situazione del nostro paese, alcune organizzazioni della società civile italiana hanno promosso a metà luglio una giornata di confronto, affiliata alla sesta conferenza della International Aids Society (Ias), il più importante appuntamento scientifico internazionale sul tema, che ha radunato a Roma da 129 paesi quasi 6 mila tra ricercatori, scienziati, clinici, attivisti ed esperti di politiche di settore. Nel corso di “Ias 2011” si è discusso delle più recenti acquisizioni della ricerca biomedica, richiamando però l’attenzione sull’assoluta necessità che gli esiti di questi progressi vengano condivisi equamente tra Nord e Sud del mondo.Michel Sidibé, direttore esecutivo di Unaids, ha affermato che il divario nell’accesso ai trattamenti contro l’Hiv, sia all’interno di ciascuna nazione sia tra i diversi gruppi sociali, costituisce un affronto all’umanità, che può e deve essere fermato dalla rapida e allargata diffusione delle innovazioni e dalle politiche di sviluppo, da una miglior definizione del prezzo di vendita e dalla distribuzione di farmaci e presidi medico-chirurgici per Hiv, Tbc, malaria, salute riproduttiva e altre condizioni cliniche emergenti.«Dobbiamo essere consapevoli che la storia non ci giudicherà per le nostre scoperte scientifiche, ma per come le sapremo mettere in pratica», ha chiosato Sidibé.La conferenza ha aperto nuove prospettive nella ricerca del vaccino e per la prevenzione della trasmissione dell’Hiv nelle coppie grazie all’uso della terapia antiretrovirale.Una grande importanza è stata data soprattutto all’accesso alle terapie in contesti a risorse limitate: è essenziale non solo garantire l’accesso ai farmaci a tutti coloro che ne hanno necessità, ma anche poter assicurare (in caso di inefficacia del trattamento in atto) farmaci di seconda-terza linea più costosi, poter trattare gli effetti collaterali, mantenere la continuità dell’assistenza clinico- terapeutica dei pazienti, far fronte all’instabilità socio-politica, alle crisi umanitarie e ai disastri naturali.La lotta all’Aids, oltre a costituire – come detto – il sesto degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, è strettamente legata al raggiungimento di altri Obiettivi, che 191 stati membri dell’Onu si sono impegnati a conseguire entro il 2015: riduzione della mortalità infantile (Obiettivo 4) e della materna (5), promozione dell’eguaglianza di genere (3), riduzione della malnutrizione (1). La prevenzione della trasmissione dell’Hiv dalla mamma sieropositiva al bambino è uno degli obiettivi rispetto ai quali si sono registrati maggiori successi, ma l’ulteriore ampliamento dei programmi è cruciale per migliorare la qualità di vita di donne e bambini con Hiv.«È giunta l’ora che l’Italia riconsideri l’Hiv una priorità, sia a livello nazionale che internazionale – ha asserito Alessandra Cerioli, della Lila, chiudendo la conferenza –. L’Italia non è la sola a doverlo fare. I governi non devono dimenticare il dovere fondamentale di contribuire con le risorse necessarie a promuovere la salute di tutte le persone, anche durante i periodi di crisi economica. Diamo vita al Rinascimento dell’impegno sull’Aids in ogni parte del mondo. Siamo convinti, ora più che mai, che la nostra generazione può porre termine alla pandemia. Non ci sono più scuse per mancare questo obiettivo».
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