Un tocco pasquale all’angoscia del mondo

La pasqua del giubileo avrebbe voluto essere di “globale” consolazione. La parola misericordia è risuonata ovunque e sembrava persino vincente in contesti apparentemente refrattari. Con scadenza frequente, invece, il terrorismo ci ha tenuti in allerta. Siamo ripiombati nell’incubo della più insipiente violenza, che ingannevole ci aveva dato sollievo con la cattura dell’ultimo latitante responsabile degli attentati di Parigi. Eravamo già pronti a dimenticare – almeno per pasqua – ed anche a ripartire carichi di speranza. Siamo ora molto più incerti. Ma dobbiamo uscire dalle chiese dopo la memoria pasquale e dalle case per annunciare che a vincere non potrà essere che la vita. Gesù – il Dio Crocifisso - ha ingoiato la morte e l’ha braccata per sempre uscendo dal sepolcro e lasciandolo vuoto una volta per tutte. A piombare nel nulla sarà ogni dolore – il più innocente – e ogni morte – la più inaccettabile – perché di pasqua in pasqua ricevono il sigillo universale di un grido salvifico. Quello del Figlio che si abbandona tra le braccia del Padre e che il Golgota ha regalato all’umanità incredula e alla creazione stupefatta. Non c’è angoscia che lo possa eludere. Le braccia dell’umanità mai cadranno definitivamente: una croce le regge. Ecco perché guardiamo con istintiva fiducia ad ogni immagine del Risorto, come quella proposta in prima pagina. Mi pare consono, però, alla pasqua di questo giubileo il vangelo dei discepoli di Emmaus. L’ho visto scolpito sulla porta dorata del tabernacolo nella chiesa cittadina di san Filippo. È un piccolo gioiello. Esalta quel Viandante Sconosciuto capace di far ardere il cuore agli sconsolati discepoli di un Maestro finito nello scandalo e nella stoltezza di una croce. Mi aveva tanto colpito anche perché era davanti ai miei occhi mentre celebravo la Messa a quindici anni dal disastro all’aeroporto di Linate e venivano scanditi i nomi delle 118 vittime. Poi giunse la notizia degli studenti dell’Erasmus che in Spagna hanno visto spezzarsi una giovinezza tanto promettente e siamo nel ricordo incancellabile delle due sedicenni, volate via improvvisamente in una tragica notte e di altre persone care. L’imponderabilità della vita prova la nostra speranza. Come ad Emmaus. A questa angoscia parla decisamente la pasqua cristiana. Non si nasconde in sentimenti pur toccanti. Presenta un Crocifisso che è Risorto e diviene Sconosciuto Viandante di ciascuno per dirci apertamente che comunque vadano le vicende della storia: “nulla potrà separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù: né morte né vita”! E’ parola di san Paolo, che ne vide di tutti i colori...È parola di Dio che sorresse l’apostolo fino al martirio per Colui che divenne suo vanto e sua pace, benché lo avesse perseguitato duramente prima di esserne folgorato. Sono vicende e parole che la fede pasquale ci consegna perché scuotano l’angoscia e ci riaprano alla più sicura delle speranze, quella pasquale! E diventano un appello all’accoglienza vicendevole, che prima si fa confidenza sulle contraddizioni dell’esistenza e passa poi alla condivisione, a formare cioè quel pane, che una volta spezzato a Emmaus consentì di riconoscere il Risorto nel bel mezzo delle amarezze dei discepoli. Nella accoglienza e nella condivisione si stempera la paura, e non solo si esce, addirittura si corre, come fecero da Emmaus a Gerusalemme, impossibilitati come erano a dimenticare quanto il cuore ardesse alle parole dello Sconosciuto. Ogni uomo e ogni donna ha una parola per ciascuno di noi, già col silenzio del solo esistere, del solo sperare, del solo faticare. Misericordia è comprendere che il cuore non può fare a meno di questo scambio. Siamo sempre nella necessità di dare per ricevere e viceversa. La porta santa della cattedrale è aperta ad assicurare l’irrevocabile volontà di accoglierci da parte di Dio per condividere il dolore e darci ciò che più gli sta a cuore: la pienezza della vita. Ha dato il Figlio – non poteva fare di più – perché mai e poi meno venisse meno la speranza. Sono convinzioni che svaniscono però inesorabilmente se non entrano nella concretezza della quotidianità con le ordinarie vicende e problematiche, i conflitti, le povertà che urtano al solo considerarle per vastità e complessità e mettono in luce la crisi – ancor più spirituale - che attraversiamo insieme alla più esplicita fatica economica e sociale. La chiesa cerca di comprendere, al suo interno e nel dialogo con la società, tutta l’efficacia dei sentieri della semplicità e della povertà, come quelli della più corretta laicità. E non dimentica che a rendere proficuo il suo rapporto con la storia è sempre stata la carità, che non la distolga però dalla identità religiosa. E sa di poter incontrare molti, vicini o solo apparentemente lontani, sensibili a questa autentica cultura della misericordia, che alimenta l’accoglienza e la condivisione, sempre più urgenti, pena addirittura la non sopravvivenza. È un discorso che interessa la chiesa di Lodi, ancor più in questa pasqua, che augura a tutti colma di misericordia.

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