Una recente intervista rilasciata dal vice direttore scolastico regionale del Piemonte dott. Antonio Catania riapre il confronto sulla possibilità di riconoscere ai presidi di scegliersi il personale sia tra i docenti che tra i non docenti. Si tratta, in parole semplici, della cosiddetta chiamata diretta. Un cavallo di battaglia del centro destra nella precedente legislatura ben visto anche dall’Associazione Nazionale Presidi, su cui poggiava la stessa riforma degli organi collegiali. Poi tutto è stato rinviato a data da destinarsi. E oggi pare che quella data sia ritornata nel dibattito generale, anche se per il dott. Catania ciò comporterebbe un grosso rischio ovvero quello di innescare il principio di «nepotismo», con strade spianate per parenti, amici e amici degli amici e strade irte di difficoltà per i comuni mortali. E’ vero. C’è un concreto rischio che questo possa accadere, ma è pur sempre un rischio che può essere contrastato e che comunque deve fare i conti con l’attuale sistema. Un sistema fondato su un interminabile elenco di docenti precari in attesa di convocazione che solo per alcuni si trasformerà in certezza. E qui nasce il problema. Quanti sono i docenti che potrebbero occupare un ruolo diverso, mentre invece entrano nelle classi e fanno disastri? Perché non pensare a qualcosa completamente di diverso, più razionale della stessa casualità? Le interminabili graduatorie sono una realtà, ma affidarsi all’ineluttabilità della buona o della cattiva sorte secondo il principio dell’«a chi tocca, tocca», subendo per caso o per necessità situazioni ingestibili, non può andare più bene. Oggi più di ieri i genitori si fanno sentire nel richiedere che l’insegnamento sia affidato a docenti preparati, a docenti che possano godere della massima stima e fiducia, a cui riconoscere il giusto grado di autorevolezza. Nelle scuole, purtroppo, abbiamo molti cattivi esempi di insegnanti che creano innumerevoli problemi sia a livello relazionale che professionale. Problemi che il più delle volte sfociano in conflittualità pericolose fino a toccare la giustizia civile, penale e amministrativa. Ciò spiega anche il crescente aumento registrato negli ultimi anni di ricorsi ai TAR (Tribunali Amministrativi Regionali) promossi dai genitori, senza trascurare i tanti episodi denunciati e soggetti alla giustizia penale. Un crescendo conflittuale che non fa bene alla scuola e che la rende vulnerabile sotto ogni aspetto, sia didattico che educativo. Ma il dibattito tocca anche i presidi. Torna e ritorna con sempre più insistenza l’idea di lasciare al collegio dei docenti la scelta tutta interna di affidare l’incarico di preside, sia pure a tempo determinato, a un docente. Qualcosa del genere avviene nelle università dove il preside di facoltà, ma anche il Rettore vengono eletti dal Senato Accademico. Forse che un domani accanto al Magnifico Rettore avremo anche il Magnifico Preside. Sarebbe una grossa novità quella dei Magnifici Presidi. Un figlio di contadino come me che diventa Magnifico come il già noto Lorenzo il fiorentino è uno scoop di bassa borghesia. Un’escalation sociale da far invidia a chi già mi ritiene magnifico per nascita: la Mamma. Ironia a parte, partecipando al confronto, trovo interessante il sistema spagnolo dove i presidi sono scelti da una commissione mista composta da docenti della scuola interessata e da alcuni rappresentanti della comunità civica individuati dal consiglio comunale della città scelta dall’aspirante preside. Non solo. L’incarico viene affidato a tempo determinato della durata di tre anni rinnovabili per un massimo di altri sei e prevede anche la contemporanea presenza in classe per attività di docenza della propria materia d’insegnamento nelle classi per sei ore settimanali. In tal modo il preside incaricato mantiene sempre il contatto con gli studenti e trova anche motivo di essere costantemente aggiornato dal punto di vista professionale per poter rientrare definitivamente in cattedra come insegnante al termine dell’incarico temporaneamente affidatogli. Può essere questa una via di mezzo che potrebbe evitare l’arbitrio del singolo preside amante dello potere fino a trasformarlo in strapotere, spesso additato come ridicolo dittatore scolastico, insidioso e inaffidabile, ma abile nell’utilizzare il ruolo di direzione come leva di scambio per instaurare un clima di vassallaggia ubbidienza nonché di remissione professionale. Un modo come un altro per compromettere la stessa autonomia didattica. Un tema, questo, che porta in prima pagina il problema della governance della scuola ritenuto uno dei pilastri necessari per rilanciare slancio e collaborazione da parte di tutti. Sono scelte politiche possibili che eviterebbero una volta per tutte da una parte le nomine a vita dei presidi come accade oggi e dall’altra di rivedere la procedura dell’affidamento dell’incarico di docenza secondo principi di professionalità e competenza. Un ruolo, quello dei docenti e dei presidi, che verrebbe così regolato e misurato anche dai risultati raggiunti. Già nel 2008 l’allora presidente della Commissione Istruzione e Cultura della Camera, Valentina Aprea, aveva presentato un disegno di legge che prevedeva l’assunzione diretta tramite concorso disciplinato da ciascuna scuola per i docenti e la suddivisione degli stessi in determinate categorie in modo da differenziare gli impegni e gli stipendi. Un’ottima idea che poteva aprire nuovi scenari e preparare la scuola a un grosso processo riformatore che avrebbe sicuramente toccato anche gli organi collegiali. Sembrava che tutto andasse avanti senza intoppi con l’accordo anche dei partiti di opposizione, ma poi l’iniziativa si è arenata e come tanti altri disegni di legge, anche questo giace oggi in qualche cassetto del Parlamento. Ci ha provato anche la Regione Lombardia, ma il tiro incrociato di partiti d’opposizione e sindacati avversi alle novità ha fatto decadere ogni speranza di cambiamento. Evidentemente i tempi non erano ancora maturi. Oggi si riapre il dibattito sulla necessità di trovare una soluzione che possa mettere d’accordo i fautori dei necessari cambiamenti con coloro che vedono in questi cambiamenti abusi e poteri eccessivi nelle mani di una sola persona. Se per i politici si tratta di equilibrare i poteri decisionali, per i sindacati si tratta di evitare che i presidi si trasformino in sceriffi con troppi poteri, dimenticando che tra questi ci sono tantissimi che sanno fare bene il proprio lavoro in sinergia con le forze sociali e gli organi collegiali. E di questo non si può non tener conto.
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