Sì alle benedizioni pasquali a scuola, “fuori dall’orario scolastico” e con la libera partecipazione “di chi vi acconsente”. È la decisione del Consiglio di Stato, che si è pronunciato sul ricorso presentato da alcuni docenti e genitori bolognesi, che nel 2015 si erano appellati contro la delibera con cui il Consiglio d’istituto le aveva autorizzate. Lo scorso dicembre il Tar dell’Emilia Romagna aveva annullato la delibera, sostenendo che i riti religiosi fossero “attinenti unicamente alla sfera individuale” ed “estranei a un ambito pubblico”. Di segno opposto, invece, l’attuale sentenza. Le benedizioni non incidono sulla vita scolastica, “non diversamente dalle diverse attività ‘parascolastiche’ che, oltretutto, possono essere programmate o autorizzare dagli organi di autonomia delle singole scuole anche senza una formale delibera”, è la decisione della sesta sezione del Consiglio di Stato.Anzi, «non può logicamente attribuirsi al rito delle benedizioni pasquali” – richiamano i giudici – “un trattamento deteriore rispetto ad altre diverse attività ‘parascolastiche’ non aventi alcun nesso con la religione».Si tratta di «una decisione equilibrata, non inclusiva ma garantista», dichiara Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, poiché «stabilisce un principio che va al di là della benedizione, consentendo a qualsiasi religione di svolgere attività negli ambienti scolastici, purché fuori dall’orario scolastico e con una libera partecipazione». Insomma, «è espressione di tolleranza; intollerante, piuttosto, è chi vuole espellere ogni forma di presenza religiosa dal panorama pubblico».Il costituzionalista parla di «sentenza orientata dal buon senso», che «riconosce principi pienamente condivisibili» e «una laicità attiva della scuola, come luogo nel quale ci può essere un’attività anche di tipo religioso, fuori dall’orario del servizio scolastico, con la disponibilità dei locali come avviene per altre attività formative, culturali e sociali, altrimenti davvero ci sarebbe una discriminazione dell’elemento religioso».«Il Consiglio di Stato – sottolinea Mirabelli – stabilisce principi di carattere generale, ed è questa la parte più interessante. Il fatto che si svolgano queste attività fuori dall’orario scolastico non lede la libertà di chi non vi partecipa non avendo un sentimento religioso oppure perché ha una diversa appartenenza confessionale».«I capisaldi – prosegue – sono il fatto che l’attività sia al di fuori del perimetro delle attività propriamente scolastiche, come le altre attività ‘parascolastiche’. E deve essere libera la partecipazione». Peraltro, puntualizza il presidente emerito della Consulta, «proprio l’attività che nella scuola si svolge, interessando una parte della popolazione scolastica, può funzionare come elemento d’integrazione e tolleranza in una visione pluralistica».In sintesi, «è una sentenza che stabilisce principi per il futuro» indicando «come si devono orientare le autorità scolastiche, fissando regole per ogni partecipazione alle attività non curricolari che la scuola consente mettendo a disposizione degli spazi, quando queste abbiano una valenza positiva per parte degli studenti».
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