Il confronto a più voci avviato nelle ultime settimane dal «Cittadino», in vista del voto del 25 maggio prossimo, che coinvolge la quasi totalità dei Comuni lodigiani, ha riacceso una domanda che da qualche tempo era stata rimossa: è possibile e utile rimettere insieme i pezzi di una visione unitaria sul nostro territorio, che ne accompagni la fuoriuscita dalla crisi e soprattutto costituisca una mappa attraverso la quale orientare e mettere a sistema le energie economiche, sociali, intellettuali e morali indispensabili per un ambizioso disegno di rilancio? Esattamente un decennio fa, nel corso del biennio 2004/2005, Provincia, Camera di Commercio e Comune di Lodi furono gli artefici di un Piano strategico di sviluppo del Lodigiano che, almeno nella sua stesura, vide protagoniste anche le rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, rendendo quel Piano non solo superato per l’impostazione data, ma anche svuotato di una buona parte dei suoi contenuti, che si declinavano in un impressionante elenco di 80 progetti, solo in parte realizzati. Sotto i ponti è passata l’acqua impetuosa e distruttrice della crisi, che ha ridimensionato in qualità e quantità il tessuto produttivo del territorio e determinato un deficit occupazionale drammatico. Ma è passata anche altra acqua, che ha modificato irrimediabilmente il contesto a cui eravamo abituati e alla luce del quale era stato elaborato il Piano di dieci anni fa: il ruolo di Provincia e Camera di Commercio è messo sotto scacco da riforme, in parte attuate o solo annunciate, di cui ancora non si percepisce l’esito finale; il taglio dei trasferimenti agli Enti locali, ai Comuni in particolare, da un lato ha sottratto risorse pubbliche ingenti al territorio, dall’altro ha condotto all’inasprimento della pressione fiscale sulle imprese, determinando crisi di liquidità e drenando gli investimenti; l’onda lunga della terziarizzazione di cui il Lodigiano ha per un paio di decenni beneficiato si è interrotta, in coincidenza con l’arresto dei fenomeni che l’avevano generata (banche, logistica, grande distribuzione commerciale, decentramento amministrativo). Nel frattempo, la struttura industriale è stata mutilata dalla riduzione di una quota ingente di unità produttive legate ad aziende multinazionali che hanno abbandonato il Lodigiano. Di quel Piano, tuttavia, restano tracce importanti, a cominciare dalla scelta strategica di sostenere l’insediamento del Parco Tecnologico padano e l’Università di Veterinaria e Agraria, impegni che non possono essere abbandonati a nessun costo. Ma restano anche eredità più scomode (Lodinnova e il Business park) che richiedono un radicale ripensamento.Da dove ripartire? Anzitutto da una ritrovata coesione morale e “operativa” tra le istituzioni, le amministrazioni locali, le banche e le fondazioni, le rappresentanze economiche: occorre ricostruire un metodo rigoroso di confronto, di programmazione e di cooperazione che nel tempo è stato abbandonato. Si tratta di una condizione di partenza indispensabile, richiamata anche nelle conclusioni del percorso degli Stati Generali del Lodigiano, racchiuse nel Libro Bianco, che esortava a considerare “sullo stesso piano e inscindibili le questioni sociali, ambientali ed economiche” e a creare “community e coesione, condividendo conoscenze e progetti” (paragrafo 2.4.3 a pag 81). Lo strumento più idoneo, già adottato in altri territori, può essere quello di un’Intesa programmatica d’area, uno strumento di concertazione e programmazione attraverso il quale gli Enti locali, insieme alle parti economiche e sociali, possono partecipare alla pianificazione regionale, dando vita a un partenariato impegnato a disegnare insieme un percorso di sviluppo. Non possiamo rinunciare a una visione originale che, pur facendo i conti con i fenomeni di area più vasta, tuttavia alimenti un processo di rigenerazione del territorio, che sta uscendo sfibrato se non addirittura sfigurato da anni in cui la sua tenuta è stata a dura prova. In particolare, a certe condizioni, il modello di “smart land” può adattarsi alla taglia e alla natura della nostra terra lodigiana: il modello, cioè, di un sistema che pone al centro il sapere diffuso, a cominciare da quello dei giovani; lavora per una forte interazione tra il mondo della formazione e quello delle imprese; promuove investimenti nelle energie rinnovabili e limita l’utilizzo del territorio ancora non urbanizzato; cura il rilancio dell’edilizia, in un territorio dove si contano 12.000 alloggi sfitti, puntando alla ristrutturazione e riconversione del patrimonio immobiliare esistente; valorizza il patrimonio artistico e agroalimentare per definire un’offerta di turismo compatibile. Un sistema che si candida come spazio in cui sia desiderabile vivere, perché forte di elevati standart di sostenibilità economica, di protezione sociale, di vivacità culturale, di pregio ambientale. Un sistema aperto, capace di competere per attrarre flussi demografici e quindi in grado di alimentare la domanda di beni e di servizi, a vantaggio di un’economia territoriale, quella lodigiana, che come noto vive quasi esclusivamente di domanda interna, a cui non a caso corrisponde una fitta rete di attività commerciali, artigianali e di servizio che possono rappresentare una risposta moderna e adeguata ai rinnovati bisogni delle persone e delle famiglie.Non si tratta di abbandonare e neppure di ridimensionare le attività istituzionali e associative sino ad ora dedicate all’internazionalizzazione delle imprese lodigiane, alla loro innovazione, all’attrazione di investimenti industriali nel Lodigiano, alla collocazione delle aree dismesse sul mercato nazionale ed esterno del real estate: al contrario, si tratta di azioni che richiederanno, se possibile, un ulteriore rafforzamento. Tuttavia, accanto a questo, il Lodigiano non può rinunciare a condividere un modello di sviluppo che, puntando alla rigenerazione del nostro territorio, sia in grado di valorizzarne il capitale umano, la sicurezza sociale, il pregio ambientale, la invidiabile prossimità con l’area metropolitana. Oltre l’insidia di rassegnarci passivamente allo statu quo, c’è per tutti, non solo per i nuovi e vecchi Sindaci e amministratori locali, un’alternativa concreta, gravosa ma entusiasmante: quella di diventare protagonisti attivi del cambiamento, con un’assunzione di responsabilità più forte, perché più coraggiosa, più generosa e più corale.
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