Per fortuna che in Italia ci sono i badanti, anzi le badanti. Perché laddove manca un’adeguata assistenza domiciliare sono l’unico baluardo a disposizione delle famiglie che hanno un anziano non autosufficiente di cui non possono farsi carico 24 ore al giorno. Al fenomeno dell’assistente familiare l’Università Cattolica e “Italia Longeva” (rete di ricerca su invecchiamento e longevità attiva istituita dal ministero della Salute) hanno dedicato a Roma una giornata di riflessione, spaziando “dalla formazione ai problemi sociali e d’integrazione”, partendo dall’assunto che “l’Italia è uno dei Paesi più vecchi al mondo” e “il Sistema sanitario nazionale si è trovato impreparato a gestire il crescente bisogno di assistenza domiciliare, in particolare della popolazione anziana”. Secondo i dati Istat, l’indice di vecchiaia in Italia è tra i più elevati: al 1° gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone di 65 anni e oltre per 100 giovani con meno di 15 anni, a fronte di una media di 116,6 nell’Unione europea. Ne consegue che è in aumento “la fascia di popolazione più esposta a problemi di salute di natura cronico-degenerativa”: nel 2012 oltre la metà della popolazione ultrasettantacinquenne soffriva di patologie croniche gravi. Una situazione cui corrisponde un limitato aiuto alle famiglie. “Nel 2009, il 29,2% delle famiglie con anziani ha ricevuto un qualche tipo di aiuto, gratuito, a pagamento o pubblico, per la cura e l’assistenza”, precisa Linda Laura Sabbadini, direttore del dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, aggiungendo che “la cura e l’assistenza alle famiglie con anziani viene fornita in prevalenza dalla rete informale”. Si fa ricorso quindi alle badanti: il Censis ne stima 1 milione - pur riconoscendo che “si tratta di un dato sottostimato, per la forte presenza di situazioni d’irregolarità” -, “in grandissima parte donne straniere, che aiutano le famiglie a far fronte ai bisogni di assistenza continuativa di un proprio componente”. “C’è bisogno di gestire la non autosufficienza che arriva e, siccome non ci sono servizi per anziani, quelli che se lo possono permettere pagano un assistente familiare”, afferma Roberto Bernabei, direttore del Dipartimento di geriatria, neuroscienze e ortopedia al Policlinico Gemelli di Roma e presidente di “Italia Longeva”, stimando da parte sua in un milione e mezzo i “badanti”, “numero incredibile”, che “rivela il tentativo di apprestare un’assistenza suppletiva per i nostri anziani, fra i più numerosi al mondo, che altrimenti potrebbero contare su un numero insufficiente di letti nelle Residenze sanitarie assistenziali (solo 400mila letti, un record negativo: coprono circa il 3,5% degli over 65, mentre nessun Paese europeo si attesta sotto al 7%), o su prestazioni domiciliari ancora molto inferiori alla media europea”. Per il medico del Gemelli la parola d’ordine verso gli anziani non autosufficienti è “assistenza domiciliare”, impegno verso il quale, però, le famiglie sono lasciate sole, anche sotto il profilo economico.“Quella della badante - osserva Giovanni Battista Sgritta, docente all’Università ‘La Sapienza’ di Roma - è una figura per metà assimilabile alle relazioni familiari, per l’altra metà al rapporto di lavoro salariato”. “La badante - prosegue - è pagata per fare quello che fa”, ma non è solo “una lavoratrice, perché se lo fosse non sarebbe in grado di rispondere adeguatamente alle aspettative degli anziani affidati alle loro cure e dei loro familiari”. Punto chiave è la formazione. “Gli assistenti familiari - annota Bernabei - non sempre sono in regola e non sempre adeguatamente preparati. Ma necessitano di abilità particolari, e quindi di una formazione specifica”. Essi, precisa, rappresentano “una sorta di servizio socio-sanitario parallelo, garantito da operatori della cui formazione nessuno sembra preoccuparsi”. Badanti, insomma, non ci si può improvvisare.
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