Riprende venerdì in Grecia nel tribunale dell’isola di Samos il processo per l’omicidio dello studente ventenne di Ospedaletto Lodigiano Stefano Raimondi, che la notte del 28 luglio 2010 era stato colpito alla testa con una pesante bottiglia di vodka, in una discoteca di Mykonos, ed era ricaduto al suolo esanime, morendo poche ore dopo in ospedale. Unico imputato e unico indagato il ristoratore 23enne di Basilea Alexander Georgiadis, cittadino svizzero e greco figlio di un medico emigrato molti anni fa nella Confederazione. Il presunto omicida, dopo pochi mesi di carcere ad Atene, era stato ammesso ai domiciliari con permesso di lavoro presso un parente in Grecia e quindi, dopo la prima udienza del processo il 12 aprile scorso, lasciato libero di tornare in Svizzera. Comparso davanti al giudice, si era detto «non colpevole» e aveva chiesto scusa ai parenti di Stefano. «Finora non sono arrivate comunicazioni formali né tantomeno un risarcimento», puntualizza l’avvocato Oreste Riboli che assieme ad Angelo Benelli e ai corrispondenti greci Enias Anagnostopoulos e Alexandra Dimou assistono i familiari del 20enne costituiti parte civile.
Il processo, che dovrebbe concludersi già nei giorni successivi, riprenderà dall’ammissione delle prove. A partire dal filmato di sorveglianza della discoteca Cayo Paradiso, che sarebbe stato ritenuto conforme dai giudici greci e quindi è stato analizzato da consulenti tecnici della famiglia Raimondi. Ci si aspetta che entrino nel processo anche le analisi del dna delle tracce di sangue trovate dove Stefano era caduto a terra, e quindi anche le testimonianze degli amici che erano con lui in quella serata di vacanze.Non si esclude che i giudici vogliano sentire anche i due giovani greci che erano nel locale con l’imputato, e che erano stati fermati e rilasciati. La famiglia Raimondi (in partenza il papà e la sorella) ha anche incaricato un medico legale, che ritiene che le due fratture nel cranio di Stefano, cause della morte, non siano compatibili con l’effetto di una caduta ma con quello di un colpo inferto con la bottiglia, poi scomparsa ma indicata da diversi testimoni. L’imputato l’avrebbe brandita come una clava dopo essere salito su un tavolino dell’area bar. Un dramma che aveva scosso tante famiglie italiane e per il quale si attende ancora giustizia.
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