Fanghi a Meleti: i giudici dicono “sì”

Il Consiglio di Stato dà ragione alle richieste di Lombardia Ambiente

Il Consiglio di Stato dà il via libera all’impianto di stoccaggio e trattamento fanghi richiesto da Lombardia Ambiente a Meleti. Dopo una lunga battaglia legale ingaggiata da Provincia di Lodi e Comune di Meleti, il Consiglio di Stato ha dato infine ragione alla società, e al momento non sembrano esserci altri validi motivi di opposizione da parte degli enti locali.

La sentenza è del 28 giugno scorso, ma Comune e Provincia a oggi non si sono ancora incontrati per definire le eventuali contromosse. «La ripresa dell’iter procedurale è in capo alla Provincia e stiamo aspettando un confronto per capire che cosa fare - dice il sindaco di Meleti Emanuele Stefanoni -. Al momento non si possono fare altre considerazioni». Il presidente della Provincia Pietro Foroni non è stato raggiungibile ieri per un commento. Nel 2005 Lombardia Ambiente Srl chiedeva alla Provincia di Lodi l’autorizzazione per la realizzazione e l’esercizio a Meleti di un impianto di stoccaggio e trattamento di fanghi biologici derivanti da rifiuti speciali non pericolosi e da avviare al recupero per lo spargimento su un’area agricola di sua proprietà. Un anno dopo la Provincia di Lodi negò il permesso, ma il Tar bocciò la decisione e l’iter amministrativo riprese. Nel novembre 2009, dopo diversi passaggi amministrativi, la Provincia di Lodi negò in via definitiva l’autorizzazione. Ma Lombarda Ambiente portò il rifiuto davanti il Tar di Milano ottenendo nel marzo 2011 una sentenza favorevole. Contro la sentenza del Tar, Provincia e Comune hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, ottenendo un anno fa una prima vittoria con la sospensione del provvedimento di primo grado.

La sentenza finale, però, conferma il giudizio di primo grado del Tar e di fatto dà il via libera all’impianto. Secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato, gli enti locali hanno incentrato la loro opposizione sulla destinazione urbanistica dell’area, classificata come agricola, e sulla presunta incompatibilità tra il progetto e la sua localizzazione, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista idrogeologico in virtù di vincoli individuati dagli strumenti urbanistici.

Il Consiglio di Stato fa notare che già l’Arpa aveva sollevato dubbi sui vincoli e afferma che «non è stata fornita alcuna adeguata motivazione per superare i rilievi critici sollevati» definendo «macroscopico il riscontrato vizio di carenza di istruttoria e di motivazione circa la incompatibilità tra il predetto progetto e la sua localizzazione, non solo per quanto attiene il punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista idrologico». E conclude: «Anche la asserita vulnerabilità dei luoghi, su cui insistono le amministrazioni appellanti, non trova alcun adeguato e significativo supporto probatorio».

Resta ora da capire come si svilupperà la vicenda, e se la società dovrà presentare una nuova richiesta o se il procedimento ripartirà dalla conferenza di servizi finale. In un caso o nell’altro, la sentenza del Consiglio di Stato ha spuntato le armi a disposizione di Provincia e Comune per dire di no.

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