Il feroce omicidio del marocchino trovato a pezzi l’1 aprile sulle rive del Lambro a Orio Litta non è più opera di ignoti: è ancora presto per definire il caso risolto, ma risulta che per l’omicidio ci siano degli indagati. Ed è stata stabilita con certezza anche la data della morte, il 23 marzo. Otto giorni prima, quindi, rispetto all’avvistamento casuale delle membra da parte di un ciclista che percorreva la via Francigena: il passante aveva pensato a un manichino poi, tornato il giorno dopo a controllare, dopo una notte di incubi, aveva riflettuto sul partcolare delle mosche che ronzavano attorno a quei resti e aveva dato l’allarme ai carabinieri.
Il lavoro investigativo da compiere, però, appare ancora notevole. L’identificazione è ritenuta certa: la vittima era un uomo molto giovane, tra i 20 e i 22 anni, ed è già stata interrogata almeno una persona che lo conosceva, un ventiduenne, anche lui marocchino, accusato di aver spacciato eroina, alcuni mesi dopo, nelle campagne tra San Colombano al Lambro e i comuni confinanti. Non lontano, quindi, dal luogo in cui è stato ritrovato il cadavere. A spostare all’indietro la datazione dell’omicidio sono state le indicazioni fornite dagli esperti di entomologia forense del Dipartimento di medicina legale di Pavia, che hanno studiato le larve degli insetti trovate nella salma, che mancava, lo ricordiamo, di braccia e testa, gli elementi utili per il riconoscimento.
Ma grazie all’appello a “Chi l’ha visto” che era stato fatto dal procuratore capo Gian Luigi Fontana si erano fatte avanti una decina di persone, e una di queste aveva Dna compatibile con i resti trovati in riva al Lambro. Intanto, il lavoro d’indagine dei carabinieri del nucleo investigativo provinciale di Lodi è andato avanti con i metodi tradizionali e con quelli offerti dalla tecnologia, a cominciare dall’analisi dei tabulati telefonici e dei contatti incrociati tra cellulari, anche intestati a prestanome, come quelli utilizzati dagli spacciatori immigrati. Altri elementi, sui quali gli investigatori mantengono il riserbo, hanno permesso di collocare con buona probabilità la zona dell’esecuzione nei pressi di Locate Triulzi.
Che gli indagati possano essere effettivamente gli assassini, o solo persone nella cerchia di conoscenze della vittima, sembra sia ancora da chiarire. E anche nei giorni scorsi si è tenuto almeno un interrogatorio al proposito. Ma non è detto che siano arrivate risposte significative o coincidenti con la tesi degli investigatori. E non si sottovaluta per nulla che il modus operandi è simile a quello di chi, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 2007, quindi tre anni prima, aveva ucciso con una stilettata un giovane e, dopo averlo sfigurato e avergli tagliato una mano e un intero avambraccio, l’aveva scaricato in un fosso a Inverno e Monteleone. La stilettata fatale è, nell’analisi di un criminologo, la “firma” dell’assassino. Un colpo solo, in entrambi i casi all’altezza dello sterno, che denota premeditazione e, vista la pulizia dei tagli, anche professionalità, quasi un’opera di macellazione. Forse l’arma del delitto, di entrambi i delitti, va cercata nella professione degli autori degli omicidi o di chi li ha aiutati.
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