Un farmaco salvavita non può essere a pagamento: non è una questione di soldi, ma di diritti fondamentali. Parte da San Colombano e finisce alla trasmissione “Mi manda RaiTre” (andata in onda ieri sera) la battaglia di Raffaella Malchiodi. Nata a Lodi, 33 anni, da due residente a San Colombano e con un bambino piccolo, Raffaella ha avuto un tumore al seno scoperto quasi per caso. Le prime visite a Lodi, la paura, poi la diagnosi a Pavia: è cancro, mastectomia totale. L’operazione va bene, i referti sono confortanti, ma la strada per la guarigione completa è lunga e necessita tra l’altro di una pastiglia quotidiana di Tamoxifene, un recettore ormonale antiestrogene da assumere per almeno cinque anni. Un farmaco salvavita che però, dopo l’ultima revisione dei ticket sanitari, è finito a pagamento. Poco più di 3 euro nella versione di farmaco generico, ma è il principio che conta. «Nel momento peggiore della mia vita, tra ansia e preoccupazione per la malattia, mi sono sentita presa in giro - spiega Raffaella -. Invece di tutelarmi e aiutarmi, nel momento di maggiore debolezza mi chiedono di pagare per un farmaco antitumorale. È per questo che sono indignata, e ho intenzione di fare tutto quello che posso per questa battaglia. Finora ho raccolto tanti incoraggiamenti, e molte associazioni si stanno dando da fare». Un’impresa titanica vista la situazione dei conti pubblici. Da quando lo stato ha deciso di non rimborsare più per intero questo, come altri farmaci, ogni Regione in autonomia ha costituito un fondo con cui coprire la parte di contributo venuta meno. Alcune regioni hanno da subito imposto la compartecipazione alla spesa da parte dei malati, altre invece ne prevedono la gratuità anche oggi, per esempio la Toscana. Regione Lombardia ha esaurito il fondo a settembre, e così da qualche settimana il Tamoxifene è a pagamento, anche per chi ha l’esenzione. Questo almeno è quanto Raffaella ha ricostruito con l’aiuto di alcune associazioni di malati. Perché le informazioni, dalle istituzioni, non sono arrivate nemmeno agli specialisti del settore. «Quando ho chiesto chiarimenti al medico di base e alla mia oncologa, nessuno sapeva niente, e questo mi ha fatto arrabbiare ancora di più - continua Raffaella -. Il malato è lasciato solo. È allora che è scattato qualcosa dentro di me che mi ha portato ad agire». Dai primi di novembre Raffaella ha contatto tutti: giornali, televisioni, associazioni di volontariato, gruppi di consumatori. Quasi 200 lettere di posta elettronica, una quarantina di gruppi contattati, una troupe di “Mi Manda RaiTre” arrivata apposta da Roma per intervistarla. E non ha intenzione di fermarsi. «Dopo la malattia la mia ansia è andata alle stelle, ho difficoltà a dormire e ho sbalzi d’umore, come comprensibile - continua Raffaella -. Tuttavia, questa battaglia è come se mi avesse dato una nuova forza. Mi hanno fatto arrabbiare davvero, e forse anche tutta la rabbia accumulata per la malattia si è canalizzata in questa lotta. So che difficilmente riuscirò a ottenere un risultato, ma se questa battaglia mi fa stare bene e può servire ad altre persone, allora continuerò anche perché in futuro la situazione rischia addirittura di peggiorare».
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