Disposte a rinunciare ad un mese di stipendio pur di salvare l’azienda. E il proprio posto di lavoro. Lo hanno deciso le 23 lavoratrici della ditta Agnese Steffenini di San Colombano, l’ultima sopravvissuta del comparto tessile lodigiano, piccoli laboratori a parte. Le nubi, ieri, avevano il volto dell’ufficiale giudiziario chiamato ad eseguire lo sfratto che pesa sull’azienda. Atteso, ieri mattina, da un “comitato di accoglienza” d’eccezione, composto da sindacati e istituzioni. Le lavoratrici, tutte donne con un’età compresa tra i 30 e i 50 anni, alcune con qualifiche di maestre di cucito, erano all’interno del capannone, regolarmente al lavoro. Tra l’ingresso e il cortile erano schierati il segretario di categoria della Cgil Francesco Cisarri, il segretario generale Domenico Campagnoli, la titolare dell’attività Agnese Steffenini, accompagnata dall’avvocato Rita Fatigati di Lodi. A dire come la partita fosse fondamentale anche per le istituzioni, c’erano lo stesso sindaco di San Colombano Luigi Panigada e l’assessore ai lavori pubblici Andrea Erba, a cui è arrivato a dare manforte anche il vice presidente dalla Provincia di Lodi, Claudio Pedrazzini. Un fronte compatto per dare un segnale forte all’imprenditore bergamasco Elio Zamblera, arrivato a San Colombano poco dopo le 9 del mattino per la società titolare della proprietà dello stabile, la Lans srl. L’obiettivo era riuscire ad evitare che per la ditta scattassero i sigilli e la produzione si fermasse definitivamente, con l’udienza di fallimento già fissata per il prossimo 21 dicembre. A pesare sulle casse dell’impresa, i debiti accumulati sul pagamento dell’affitto, in un contenzioso che va avanti ormai almeno dal 2008, quando lo stesso imprenditore ha lasciato la società di cui è stato amministratore e socio. Una questione spinosa che, nel tempo, si è trasformata in una richiesta al Tribunale di 200mila euro e l’istanza di fallimento. A cui sono seguite altre controproposte da parte dell’Agnese Steffenini per cercare di evitare sfratto e richiesta di fallimento, «per cui però gli unici debiti accertati non sono superiori ai 12500 euro» ha spiegato l’avvocato Fatigati. L’ultima in ordine di tempo, lo scorso sabato, considerata «un’elemosina» dalla proprietà ieri mattina. Per “comprarsi” un rinvio almeno dello sfratto esecutivo, dalla ditta tessile era arrivata un’offerta di 30mila euro da versare subito, più la possibilità di rimanere nello stabile pagando un affitto di 2500 euro al mese fino a maggio, la metà di quanto previsto dal contratto di affitto che ammontava a 65mila euro all’anno. Queste le premesse da cui è partita la difficile trattativa di sindacati e istituzioni, ieri mattina, prima del cortile, tra le auto delle dipendenti che lavoravano regolarmente sulle macchine da cucire, poi all’interno dello stabile, nella sala dei tavoli da taglio, attorno a cui si sono disposte le parti. E che è comunque riuscita a segnare un primo punto a favore della Agnese Steffefini. Grazie all’impegno diretto delle istituzioni e la disponibilità delle dipendenti, disposte, pur con grande sacrificio, a rinunciare nell’immediato allo stipendio del mese di novembre e permettere così alla titolare di alzare la proposta alla proprietà. Il giorno della verità, ora, è atteso per il 13 dicembre, data in cui è atteso il nuovo piano di rientro che dovrà cercare di avvicinarsi il più possibile ai 100 mila euro ipotizzati dall’imprenditore per estinguere il debito. E che, se congruo, permetterà di scongiurare il rischio di fallimento.
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