Nove anni di carcere: è la condanna inflitta ieri per rito abbreviato a G.S., 47 anni, indiano, che, dopo aver insistito per mesi nella sua tesi iniziale, che si fosse trattato di un incidente, infine ha confessato di aver colpito alla testa con una spranga il connazionale B.S., 41 anni, nell’allevamento di maiali della cascina Pantanasco di Montanaso, il 30 novembre scorso. L’arma impropria sequestrata dalla squadra mobile della questura di Lodi è una sbarra di ferro per la movimentazione del mangime per i maiali, lunga 120 centimetri, in parte in metallo pieno, pesante 13 etti, recuperata durante le indagini in mezzo ad alcuni rottami, ancora insanguinata.
L’aggressore, che è stato ritenuto colpevole di tentato omicidio, ed è tuttora in carcere dopo essere stato sottoposto quasi subito a fermo, era poi corso dai proprietari dell'allevamento segnalando che l’altro bracciante era caduto e stava molto male. Gli imprenditori avevano accompagnato con l'auto in ospedale a Lodi il ferito, semincosciente, mentre il 47enne era rimasto in cascina, a lavare con un’idropulitrice la zona dell'allevamento che era rimasta sporca per il sangue perso dal collega.
Già al pronto soccorso, riscontrato che le lesioni al cranio erano due, una sulla nuca, l’altra alla tempia sinistra, avevano avvertito i titolari dell'allevamento che quello non poteva essere un incidente. Il collega però, subito interpellato, ha ribadito la sua versione. E ha continuato a farlo anche quando lo hanno interrogato gli inquirenti.
Solo ieri, in udienza, difeso dall’avvocato Cesare Di Cintio di Bergamo e dal dottor Mauro Bettani, ha confessato. L’aggressione sarebbe scaturita dopo l’ennesima discussione per motivi di lavoro: la vittima, che era a Pantanasco da qualche anno in più rispetto al collega, aveva l'abitudine di dare ordini, e quel pomeriggio il 47enne sarebbe stato rimproverato perché stava lavando la sala parto delle scrofe. A quel punto l'uomo, dopo aver chiuso l’acqua, avrebbe afferrato la spranga e colpito il 41enne, due volte, si ipotizza, inizialmente alle spalle, cogliendolo di sorpresa.
Entrambi indiani, della stessa regione, con moglie e figli, né aggressore né vittima avevano mai avuto guai con la giustizia. Abitano entrambi nella cascina.
«È probabile un ricorso in appello - osserva il dottor Bettani -: a nostro avviso il fatto va qualificato diversamente, non c’era un dolo specifico tendente a voler uccidere. Altrimenti l’imputato non avrebbe chiesto subito soccorsi». Lo stesso 47enne avrebbe negato, in udienza, di voler ammazzare il collega.
Il giudice ha contestato l’aggravante dei futili motivi, e sia il tentativo di nascondere le prove sia le ripetute bugie sull’accaduto potrebbero motivare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il 41enne, finito in prognosi riservata e poi operato al cranio al San Raffaele, è tornato in cascina ma è tuttora in malattia per le conseguenze di quella pesante aggressione. Non si esclude che possa avere danni permanenti, ma non si è voluto costituire parte civile contro il collega. E i titolari della cascina, dispiaciuti per queste due persone che non avevano mai dato problemi, non riescono ancora a spiegarsi l’accaduto.
Carlo Catena
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