Peste suina, gli allevatori lodigiani: «Ecco come ci stiamo difendendo»

Viaggio a Basiasco di Mairago nell’azienda d’eccellenza Gudio, gestita da Marco Lunati

Barriere per disinfezione, zone filtro e aree dedicate, doppi dispositivi, e un’attenzione costante, una collaborazione continua con Ats, una dedizione alle infinite procedure burocratiche. «Noi abbiamo fatto tutto quello che ci hanno chiesto per combattere la Peste Suina Africana, ma oggi nessuno ci spiega cosa succederà dopo il 15 settembre, se potremo muovere o meno i suini, se potremo andare avanti a lavorare o meno. Ma da questo dipende il futuro delle nostre aziende». Così dà voce alle preoccupazioni degli allevatori lodigiani Marco Lunati, dell’allevamento Gudio di Basiasco di Mairago, volto storico del settore suinicolo lodigiano e della Coldiretti, titolare di una delle stalle d’eccellenza del territorio per l’allevamento di suinetti fino a 30 chilogrammi, fino a pochi mesi fa visitata da studenti e operatori di tutto il mondo per le soluzioni di benessere animale e di qualità dell’allevamento.

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All’arrivo a Basiasco, il cancello dell’allevamento è chiuso e ad accoglierci c’è un cartello che lascia pochi dubbi sul fatto che la Psa sia da prendere sul serio. «Questa è la prima barriera: chi vuole entrare in azienda deve mettere dei calzari usa e getta – ci accoglie Marco Lunati -. Ma possiamo restare solo nell’area “sporca”, negli spazi comuni dell’azienda agricola. Per entrare nell’area di allevamento c’è una seconda barriera, con il passaggio sotto la nebulizzazione di disinfezione. E per entrare nella stalla c’è una terza barriera: ci entrano solo gli operatori oggi, e per farlo devono sottoporsi a una doccia disinfettante e cambiarsi con abiti che sono in quell’area pulita».

Nell’allevamento Gudio si allevano i suinetti fino a 30 chilogrammi da vendere poi ad allevatori specializzati all’ingrasso. Di solito ce ne sono 2mila 500 in azienda, ma oggi, in virtù del divieto di movimentazione, e quindi di vendita, ce ne sono già 3mila, destinati a diventare 3mila 600 o più entro il 15 settembre, quando scadrà il divieto.

«Ora siamo in emergenza, e stiamo facendo la nostra parte fino in fondo – dice Marco Lunati -. Abbiamo attivato tutte le procedure di biosicurezza rafforzata: ci sono barriere di disinfezione e zone filtro, nuovi spogliatoi, ci laviamo e disinfettiamo ogni volta che entriamo in area di allevamento. Abbiamo investito poco meno di 100mila euro per tutti questi dispositivi, e l’abbiamo fatto un anno fa, tutto di tasca nostra, nell’ambito di un importante riqualificazione dell’allevamento per il benessere animale. E nonostante questo, oggi non possiamo vendere i suinetti. Qui sono super-protetti e controllati, nell’allevamento dove dovrebbero andare sarebbero super-protetti e controllati. E allora non si capisce perché non si possano movimentare. Ma siamo pronti a sopportarlo, se serve. Se serve, per assurdo, siamo pronti a depopolare l’allevamento, o a sopprimere le scrofe. Ma ci dicano che cosa fare, perché oggi non sappiamo cosa accadrà il 15 settembre. E un nuovo blocco non potrà essere sopportato».

Mairago si trova in zona di restrizione I, con disposizioni più blande per quanto riguarda le attività umane all’aperto, ma con vincoli stringenti per gli allevamenti di suini, sia in termini di controlli da parte dei veterinari Ats sia per la movimentazione delle carni, possibile solo in deroga (previa autorizzazione) all’interno della stessa zona di restrizione. «Sopportiamo tutto per il bene del settore, nelle mie stesse condizioni ci sono diversi allevamenti lodigiani – conclude Marco Lunati -. E non è vero che è colpa del sistema allevatoriale: su 100 allevatori, potranno essercene due o tre poco rispettosi o attenti, ma perché fermare quelli super-protetti e controllati? Anche perché alla fine, nel Lodigiano finora non si è vista nemmeno una traccia di Psa, né nei suini né nei cinghiali».

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