«L’insegnamento del Papa è la lode»

Monsignor Malvestiti:

«Quasi un “viatico” per noi lombardi che saremo di turno a ottobre nel festeggiare S. Francesco»

Laudato si’!

Solo un invito alla lettura, anche da parte mia, della enciclica di Papa Francesco. Facendola precedere dalla lode all’Altissimo per tutte le «sue» creature. Quel possessivo rimanda al Pastore Buono. Alludendo alle «sue» pecore, egli assicurò: «nulla le strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28). È Dio il custode sicuro del creato, che è ricchezza immensa ma anche mistero e talora minacciosa preoccupazione per l’uomo. Non sia però fermato proprio dall’uomo l’intento di Dio: «fare di Cristo il cuore del mondo», come attesta la liturgia. L’uomo e l’universo sono «suoi», benché il primo, specie ai nostri giorni, tenti di strappare sconsideratamente il secondo da quelle mani sapienti e amorevoli.

Laudato si’! L’insegnamento è chiaro: la lode! E, perciò, sia riconoscente per riattivare il dialogo pacificante col Creatore e Padre e con tutte le «sue» creature. La lode sia a motivo di Cristo, sempre e prima di tutto e soprattutto, poiché «per mezzo di Lui tutte le cose sono state create». Lo diciamo nel credo della Chiesa davanti all’umanità e alla creazione intera. Per questo la lettera papale è indirizzata a tutti, indistintamente. In essa si avverte il respiro delle creature, alle quali è rimasto sensibile papa Francesco, avendo assunto il nome del poverello di Assisi e con lui assimilando, in Cristo povero e crocifisso, l’intima armonia che le anima. La più lontana fonte di Laudato si’ è il cantico dei tre fanciulli, che troviamo nel libro del profeta Daniele (cap. 3, 51-90). È una nutrita convocazione, che nessuno esclude dalla benedizione e dalla lode da riservare a Dio (benedicite et laudate). Anania, Azaria e Misaele – questi i nomi dei fanciulli – «a una sola voce» le pronunciarono «nella fornace», come rischia di diventare il nostro Pianeta! La lode e la benedizione possono fermare l’incendio che divampa. E restituirci al Creatore e a noi stessi a conferma che fra tutte le creature, comprese quelle inanimate, è «sempre di più quello che unisce di quanto può tenerci ancora lontani» (san Giovanni XXIII). Ad unirci, più di ogni divisione, è il comune venire dal cuore di Dio. È l’appartenere alla casa comune, che non è solo la Terra, bensì il “grande Cuore” (san Giovanni Paolo II). Solo alla soglia del cuore del Padre, sempre aperto in Cristo, potrà compiersi il cammino che tutta la creazione compie con noi.

L’enciclica è perciò indirizzata a tutti ed è una scelta di campo, già questa, di non indifferente portata. Anzi una sfida e una proposta rivolta alla Chiesa perché non tema mai di rivolgersi a tutti, ovunque sentendosi a casa. Se le sta a cuore l’uomo, che è la via scelta da Gesù per donarci Dio e restituirci a noi stessi, parli a tutti sempre e fiduciosa. La creazione geme e soffre con l’uomo: ma il finale riscatto è certo. È già compiuto nella Pasqua di Cristo e il lievito della risurrezione è operante e inarrestabile. Si impone una «ecologia integrale», che coinvolga l’uomo e le istituzioni ad ogni latitudine nei processi di salvaguardia del creato, colmando tremendi ritardi. L’impresa, ardua senz’altro, esige il contagio urgente di una sempre più vasta «conversione ecologica». Anche Papa Francesco ha convocato tutti: cultura e scienza, la dimensione sociale, economica e politica, come quella ecumenica ed interreligiosa, ed ovviamente quanti in nulla si riconoscono con i credenti ma non possono esimersi dal rimanere pellegrini della verità, dell’amore e della vita. Ha affidato la fatica della sintesi al pensiero religioso, come alla fede dei credenti, perché non si stanchino di fare memoria dei doni di Dio e di risvegliare la responsabilità.

È un messaggio convinto e motivato, anche se hanno fatto più scalpore alcune dichiarazioni sugli immani interessi e gli squilibri produttivi e finanziari che a livello globale colpiscono pesantemente i più deboli. Come le concrete indicazioni di familiare tutela dei beni primari, quali il pane e l’acqua, ma anche l’energia elettrica. Al riguardo, un ricordo personale risale a poco prima la mia nomina a Lodi, quando al termine di un incontro con papa Francesco, egli ritornò sui suoi passi, rientrando nella sala per spegnere la luce e commentando che si trattava «del vizio di un vecchio parroco che non avrebbe mai abbandonato».

Laudato si’! È quasi un “viatico” per noi lombardi che saremo di turno a ottobre nel festeggiare il Santo di Assisi. Recheremo l’olio per la lampada votiva che arde a nome di tutti gli italiani, là dove riposa nel silenzio il suo corpo. Arde fiduciosa perché Francesco, povero e umile in Terra, ora è nella eterna ricchezza e intercede abbondante la benedizione come sicura rimane la lode.

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