Chi preserverà le cascine del Lodigiano?

Il prestigioso lavoro svolto settimana dopo settimana con passione, competenza e cuore da Eugenio Lombardo permette di scoprire con sempre rinnovato stupore la presenza ancora tangibile di numerose cascine sparse qua e là sul territorio, tuttora operanti e in buona salute, mai ferme o statiche perché capaci di coniugare tradizione e innovazione. Accanto a questa teoria di cascine, positiva e consolante nel dar forza e sostegno all’immagine di un territorio agricolo ancora vivace, esiste una quantità di cascine su cui la Storia sta per chiudere il suo capitolo. Sono cascine e casolari abbandonati e dimenticati, cui è stato tolto lo spirito vitale ed ora attendono impotenti l’ inesorabile fine. Nessuno più le può salvare. E’ troppo tardi. Nessuno più se ne preoccupa e il loro destino è ormai segnato e scritto con lettere ignominiose.Sono vestigia di cui pochi riconoscono la bellezza e la grandezza. Non è una bellezza che viene da tocchi d’arte dati con suprema maestria o legata a nomi altisonanti. No, è una bellezza nascosta e custodita nella trama sociale, umana, antropologica di cui la cascina è scrigno. E’ una bellezza schiva, delicata, discreta e quasi timorosa, simile a quella di quanti un tempo l’hanno abitata e vissuta.Mi piace attraversare la nostra campagna e osservarla con curioso stupore. E’ ancora straordinariamente bella, selvaggia, quasi incontaminata in quegli angoli, pochissimi a dire il vero, dove il progresso non è stato schiacciante e non ha prevaricato. Si ha ancora il sentore allora di quella bellezza antica che ha accompagnato la nostra terra nella sua evoluzione, nella sua storia.In treno verso Lodi un giorno lo sguardo si posa improvviso su una cascina ormai fatiscente, di dimensioni imponenti e forse proprio per questo di difficile recupero. Ciò che lascia sbigottiti è la distesa violacea in fiore del glicine che, come un manto, la ricopre e la protegge. Una macchia immensa di colore che rapisce gli occhi ed il pensiero e fa scivolare verso dolcissimi sentimenti. Di solito è l’edera ad aggrapparsi verso l’alto dei muri e sui tetti e tutti ricoprirli. Oggi, invece, in questa tenera e sempre nuova primavera, è un fiore ricco, sontuoso nel suo frusciante abito color del cielo. I numerosissimi e fitti grappoli avvolgono l’antico edificio, lo abbracciano quasi gelosi, sembrano cedere ai mattoni il loro respiro, come volessero perpetuarne la vita, infondere forza perché il declino non li stremi fino all’ultimo.E’ la natura, in questo caso, a prendersi a cuore la sorte delle cascine, allorché l’uomo, dimentico del suo passato, vi passa accanto indifferente o impietoso. C’è uno slancio d’amore della natura verso ciò che l’uomo trascura. E’ una natura che dispone di braccia verdi, di radici tenaci, di arbusti, di rampicanti, di fiori per avanzare ed imporre la propria presenza là dove l’uomo rimane sordo e cieco al richiamo della terra. Mi piace pensare ad un’intesa quasi sensuale fra la natura e quanto essa abbraccia. Forse i fiori del glicine alitano il loro profumo fra le crepe, nel cotto poroso. Forse aiutate dalla brezza sussurrano parole d’amore, raccontano di voci lontani, bisbigliano tenere frasi, sfiorano con lievi carezze. I rami del glicine giorno dopo giorno avanzano sempre più, conquistano terreno e forse domani occulteranno allo sguardo i resti di quella che fu una dimora, un giaciglio, una testimonianza. Domani, dopodomani, presto la cascina morirà, ma la sua morte sarà dolce, perché cullata dai fiori, profumata da dolci effluvi, accarezzata da un tocco leggero, trasformata dal fascino di un’esplosione di colore. Quasi dando una lezione di etica la natura amica e pietosa, e non l’uomo, sarà vicino alla cascina prima che il tempo ne cancelli la memoria.

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