Con i “tagli” federalismo azzoppato

Partecipo molto volentieri a questa serie di interventi promossa dal Cittadino (che ringrazio per l’ospitalità) sui temi di maggior attualità dello scenario politico e amministrativo e sui loro riflessi locali, ancor più in relazione alle questioni del “federalismo fiscale” e del Patto di Stabilità, che mi vedono particolarmente coinvolto e direttamente impegnato, avendole affrontate in questi anni anche a livello nazionale, in qualità di capodelegazione dell’Anci alla Conferenza Unificata, vale a dire la sede in cui i vari livelli del nostro ordinamento istituzionale (Stato centrale, Regioni, Province e Comuni) si confrontano sui provvedimenti che riguardano i territori. E pazienza se questo spazio porta l’intestazione “Pontida”, una manifestazione di partito come ce ne sono molte altre, senza primogeniture né primati esclusivi su temi che appartengono a tutti e che non hanno certo visto nell’edizione 2011 del tradizionale raduno leghista una circostanza da ricordare come un punto di svolta epocale, una “Bretton Woods” del fisco locale, ma al più un passaggio importante per verificare la tenuta della maggioranza di Governo e provare a capire se questa legislatura arriverà alla sua conclusione naturale o avrà un epilogo anticipato.È infatti opportuno ricordare che se in questo Paese si sta parlando di federalismo fiscale è perché alle spalle c’è stata una riforma costituzionale (l’unica di impronta federalista che ha visto la luce in Italia) voluta e votata dal centrosinistra nel 2001, con una maggioranza parlamentare certamente risicata (4 voti) ma con l’avvallo successivo del voto degli italiani, che approvarono con grande margine il referendum confermativo delle modifiche al Titolo V della Costituzione, diversamente dalla proposta di riforma avanzata nel 2003 dal centrodestra (quella messa a punto dai “saggi di Lorenzago”), passata in aula con consistente maggioranza ma sonoramente bocciata nel 2006 dai cittadini nell’urna referendaria. E prima ancora c’era stato il “federalismo a costituzione invariata” delle leggi Bassanini, che avevano trasferito a Regioni, Province e Comuni competenze dirette e concrete, favorendo un decentramento effettivo. Il presente ci chiama invece a confrontarci con il “federalismo fiscale” delineato nella legge delega 42, la cui attuazione è peraltro fortemente pregiudicata da manovre economiche del Governo che penalizzano gravemente gli enti locali: al proposito, sono solito dire che il federalismo è un obiettivo ormai largamente condiviso e da molti considerato prioritario, ma che bisogna anche fare in modo che i Comuni arrivino vivi a tagliare questo importante traguardo, mentre continui tagli dei trasferimenti e vincoli di spesa li mettono in condizioni molto critiche.A dire il vero, più che di “federalismo fiscale” (principio profondamente legato a una reale autonomia degli enti locali a prendere decisioni sulla gran parte delle materie, sulla possibilità di istituire tributi propri e sulla competenza a riscuotere e trattenere sul territorio una quota significativa delle imposte sui redditi, vale a dire la tassazione della ricchezza prodotta sul territorio) si dovrebbe più correttamente parlare di una riforma dei meccanismi di spesa e delle fonti di finanziamento delle amministrazioni locali.Riforma (lo sostengo con convinzione) assolutamente necessaria e non rinviabile, a partire dal provvidenziale superamento del principio della “spesa storica” nell’erogazione dei trasferimenti statali per passare al criterio dei “costi standard” per stabilire di quante risorse gli enti locali abbiano bisogno per svolgere le loro funzioni essenziali e come possano ottenerle. Valida in termini assoluti, questa premessa è quanto mai pertinente per la città di Lodi, uno dei capoluoghi di Provincia più penalizzati dal meccanismo della “spesa storica”, dato che riceve 210 euro per abitante contro una media nazionale di 387 euro (solo Campobasso, Imperia ed Olbia ricevono meno). Dovremmo quindi rallegrarci alla prospettiva dell’entrata in funzione di un nuovo sistema, che secondo proiezioni preliminari dovrebbe portare a 382 euro pro capite il gettito dei tributi devoluti dallo Stato (concentrati prevalentemente sulla tassazione dei redditi immobiliari), in sostituzione dei trasferimenti erariali (che verrebbero cancellati).Ci sono però due motivi di preoccupazione che impediscono allo stato attuale di compiacersi. Il primo è relativo al quadro molto critico del percorso di attuazione di questo sistema, sottolineato pochi giorni fa in un’audizione alla Commissione bicamerale per il federalismo fiscale da Graziano Delrio, vicepresidente dell’Anci, e dal sindaco di Verona, Flavio Tosi. Le incertezze che ancora gravano su importanti aspetti della riforma sono numerose e profonde: tra i vari decreti di attuazione della legge delega 42 sino ad ora varati, per esempio, il “federalismo demaniale” è al palo e la definizione dei costi standard (alla quale gli enti locali si stanno applicando con serietà e tempestività, avendo già completato al 90 per cento le risposte ai questionari inviati nei territori) vede del tutto escluso lo Stato centrale, che ha sprecato malamente una preziosa occasione di razionalizzazione, senza programmare il “dimagrimento” di un solo grammo della sua elefantiaca e dispendiosa struttura. Avremo modo tra pochi giorni di verificare se lo Stato è animato da una sincera volontà di intervenire su questo fronte, dato che giovedì il Governo dovrebbe varare il decreto legge sulla manovra ed un disegno di legge sulla riforma fiscale, oltre ad un ulteriore provvedimento sui costi della politica di cui circolano già alcune bozze. Ma è il decreto sul “fisco municipale” a destare le maggiori perplessità. La previsione di devolvere ai Comuni una quota dell’Iva non è supportata da dati certi sui gettiti locali, al punto che l’Anci ritiene preferibile ritornare alla compartecipazione sull’Irpef. E il quadro è confuso anche sul gettito dei tributi immobiliari e sulla perequazione, cioè il meccanismo in base al quale i Comuni con un gettito inferiore alle necessità di spesa stabilite dai costi standard dovrebbero poter contare su una compensazione a carico della fiscalità generale, senza peraltro che sia stata ancora indicata la fonte di finanziamento di questa perequazione: perché se a dover provvedere a questo riequilibrio fossero ancora una volta i Comuni (in questo caso quelli in surplus rispetto ai costi standard), cadrebbe ogni residua illusione di “federalismo”, mentre dovrebbe essere ovvio che spetta allo Stato garantire un “federalismo solidale”. Intanto, gli “scampoli” di federalismo già concessi agli enti locali sembrano andare nella direzione opposta a quella auspicata, innanzitutto dai cittadini, con un aumento della tassazione, visto che a Comuni e Province è stata data fin da quest’anno la “libertà” di aumentare, rispettivamente, l’addizionale Irpef (cosa che a Lodi non abbiamo fatto, ma in non pochi centri anche del Lodigiano è invece avvenuto) e le tariffe Rc auto.Il secondo motivo di preoccupazione è invece legato all’asprezza nei confronti degli enti locali delle manovre economiche del Governo, che rischiano di azzoppare il federalismo fiscale prima ancora che venga messo in strada. Nonostante quello delle autonomie locali sia stato l’unico comparto statale in attivo (mentre a tutti gli altri livelli si è continuato a produrre deficit), gli ultimi 5 anni sono stati contraddistinti da una serie di “punizioni” di inaudita severità, tra tagli ai trasferimenti (ben l’11 per cento per il 2011) e assurde regole di un Patto di Stabilità che impedisce persino di spendere soldi che sono in cassa e non distingue tra chi è stato oculato e virtuoso e chi invece ha commesso sprechi scandalosi. In attesa di un federalismo che sembra sempre più assumere le vaghe sembianze di un Godot, il 2012 si annuncia allora come un anno terribile per i Comuni, le cui condizioni finanziarie potrebbero esplodere. E’ allora indispensabile che la fiscalizzazione dei trasferimenti statali (vale a dire la sostituzione dei contributi statali con i nuovi tributi locali) sia calcolata facendo riferimento alle risorse assegnate ai Comuni nel 2010, sui livelli precedenti agli ultimi, sanguinosi tagli.E se si vuole dare al federalismo una speranza di vedere la luce, è altrettanto indispensabile che nella manovra che si appresta a varare il Governo operi un sostanzioso alleggerimento dei vincoli, senza il quale i Comuni sarebbero portati alla paralisi e verrebbe vanificata l’aspirazione di tutti a riformare l’amministrazione delle nostre comunità nel segno dell’autonomia e della responsabilità e dunque del principio che mette gli amministratori nelle condizioni di presentarsi di fronte agli elettori per poter essere giudicati in base al loro operato.

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