Genitori contro la severità

Sono tanti gli episodi di cronaca che ricordano quanto difficile sia far capire ai genitori l’importanza di agire in sintonia con la scuola, di collaborare con gli insegnanti sul versante educativo oggi più che mai messo in discussione senza tanti giri di parole. Ma l’assurdo è quando ci troviamo finalmente davanti a un padre che chiede una punizione esemplare per il figlio guerrafondaio che viene, invece, perdonato dal giudice. «Senza una punizione gli tolgono anche il senso di colpa» esclama il papà spiazzato dalla decisione del magistrato. Ma guarda. Finalmente ci troviamo di fronte a un papà che, sia pure addolorato, auspica una punizione esemplare per il figlio che si è distinto nella piazza tra scudi, bastoni, sampietrini, e lacrimogeni e invece ci troviamo di fronte a un caso di eccessiva comprensione. Non è che l’ennesimo esempio di un discutibile intervento educativo. Ma noi uomini di scuola a tutto questo siamo oramai abituati. Se proviamo, ad esempio, a togliere un telefonino al solito studente che sfida gli insegnanti e aggira i regolamenti, subito siamo chiamati a fare i conti con variabili complicate. Capita che nel togliere il telefonino a qualche bravo fanciullo, si rischia una denuncia per «abuso di potere e appropriazione indebita». Se poi nel tentativo di togliere dalle mani il cellulare al ragazzo si provoca involontariamente qualche lieve contusione, allora c’è il rischio di beccarsi una denuncia per «violenza privata». Senza parlare del docente che se la può passare peggio. Capita di leggere che per aver sequestrato il telefonino a un ragazzo durante la lezione, un docente ha dovuto affrontare il solito genitore inferocito che ha preferito regolare i conti con un’azione stile western della serie «Il Buono (il ragazzo), il Brutto (il docente), il Cattivo (il genitore)». Lascio al lettore immaginare il finale. Il Servizio Sanitario Nazionale ne sa qualcosa. Del resto è della settimana scorsa la notizia, riportata da «Tuttoscuola», di quanto accaduto all’istituto comprensivo di Noale (Venezia) dove la mia collega ha dovuto affrontare i genitori inviperiti per un sonoro rimprovero mosso alla brava figliola. Un rimprovero che è costato caro. La “mammina”, sentita la versione dell’accaduto fornita dalla propria “bambina”, non ci ha pensato su due volte. E’ tornata a scuola e ha regolato i conti con la preside. L’ha quasi strangolata! Ma si può? Con la penuria di presidi che c’è in giro, questa “brava” mamma si prende il lusso di tentare di far fuori una preziosa risorsa professionale. Intanto faccio gli auguri alla mia collega. Che torni presto a scuola. Per certi versi sono notizie di ordinaria amministrazione raccolte qua e là da un quotidiano all’altro della penisola. La scuola severa non la vuole quasi più nessuno, men che meno è gettonato l’insegnante severo o esigente. Si vuole una scuola assoggettata alle nuove idee pedagogiche più aperta e progressista, più vicina alle idee edonistiche e per certi aspetti più vicina alle aspirazioni famigliari. Genitori sempre attenti ad affrontare l’avversa sorte generata dall’incoscienza del docente insensibile ai richiami di un certo moralismo perbenista. Un richiamo che rischia di trovare una sua ragion d’essere su un certo fallimento educativo che tanti danni ha già fatto in passato. La cosa più stupida è ripetere un certo errore, sapendo già cosa ha prodotto l’errore commesso. La colpa? Non è certo della famiglia! Sono gli insegnanti a sbagliare, a pretendere, a non capire le situazioni, in ultima analisi a ostacolare il percorso formativo dei ragazzi. Toh! Guarda chi si rivede. Il capovolgimento delle responsabilità. Quando il pargoletto rimane davanti a un computer fino a notte fonda a chattare con «La bella Gigogin» (dove sono i genitori?), per presentarsi a scuola il mattino dopo mezzo rintronato fino a mostrare scarsa attenzione e interesse alle attività didattiche, sapete di chi è la colpa? Dell’insegnante, naturalmente, che non sa rendere la lezione interessante e non sa motivare allo studio. Parliamo di quell’insegnante tanto odiato dai ragazzi quanto reso pedagogicamente inoffensivo dai genitori grazie alle continue osservazioni demolitive candidamente concordate con gli stessi figlioli. Nessuno deve rendere la scuola faticosa e il percorso formativo difficile. Una scuola così urta la sensibilità dei più deboli e crea una serie difficoltà al menage famigliare. E così che nascono i più seri problemi in famiglia. I compiti a casa sono tanti? Si ricorre all’Osservatorio sui diritti dei minori. Le verifiche sono difficili? Occhio. Si rischia di generare stati emotivi alterati. I percorsi formativi sono impegnativi? Si invoca una norma contro gli abusi dei docenti. Il tempo libero ridotto all’osso? Bisogna dare il via libera alla «flipped classroom». Nessuno si illuda. Non è mettere un flipper in classe. E’ la classe a rovescio. Si fa tutto a scuola e nulla a casa, così il tempo libero a disposizione è infinito. Niente compiti ai ragazzi rimandati a settembre? Sicuro! I ragazzi d’estate hanno altro da fare. Hanno da flirtare, limonare, fare nuove amicizie, viaggiare. Cosa c’entra riparare le materie insufficienti in tutto questo? A chi mai è venuto in mente di reintrodurre gli esami di riparazione? Che venga fulminato! Era così bello prima. Si aveva qualche materia come debito da riparare? «Todo bien». Tanto si veniva promossi lo stesso. Perché rendere conto ai docenti di quello che non si è fatto durante l’anno? Abbasso la scuola difficile! Viva la «squola» facile proprio perché senza sacrifici. Del resto il povero Leopardi a furia di sacrificarsi sui libri è rimasto pure gobbo. Non vogliamo mica continuare a ingobbire ancora. Ricordo che da studente quando tornavo a casa, mi guardavo bene dal lamentarmi con i miei per i numerosi compiti da fare. «Studia che ti fa bene», mi ripetevano continuamente i miei sempre pronti a controllare il tempo che dedicavo allo studio. E se portavo un brutto voto, per i miei non mi ero «ingobbito» abbastanza. Rischiavo di dover fare i conti con mani legnose, callose, indurite, rese pesanti dal lavoro duro dei campi. Col senno di poi ho capito i messaggi che mi venivano trasmessi dai docenti e dai miei. Altri tempi. Dimenticavo: non mi sono ingobbito. Che fortuna!

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