L’apporto che può venire dagli immigrati all’economia e alla società italiane, attraverso le loro iniziative imprenditoriali, si coglie in maniera evidente in questa lunga fase di crisi. Alcuni dati statistici (pochi, ma significativi) avvalorano significative considerazioni.
In Italia i fattori ostativi agli investimenti dall’estero sono molteplici: mancanza di una normativa chiara e agevolmente praticabile (senza dover ricorrere a pratiche corruttive e a tangenti); carenza di programmazione a medio termine e basso tasso di produttività; eccessiva durata delle cause civili che possono coinvolgere gli imprenditori.
Non a caso gli investimenti esteri (28 miliardi di euro nel 2011), provvidenziali quando è difficile reperire le risorse in altro modo, sono quattro volte di meno rispetto a quelli che confluiscono verso la Gran Bretagna, due volte e mezzo di meno rispetto alla Francia, una volta e mezzo di meno rispetto alla Spagna.
Invece gli immigrati, con le loro piccole imprese, mostrano ben diverso attaccamento al nostro paese. Desta impressione la progressione che si rileva dai dati che la Confederazione nazionale artigianato (Cna) ha raccolto sugli immigrati con effettiva cittadinanza straniera: 188.077 titolari d’impresa nel 2008, 208.828 nel 2009, 228.540 nel 2010 e 249.464 nel 2011 (aumento del +32,6%). In questo’ultimo anno il numero aggiuntivo delle imprese, al netto di quelle che sono cessate, sono state 21 mila, il valore più alto di questi quattro anni; in altre parole, non sono stati fiaccati dalla crisi.
Mentre così non è stato per gli italiani. Infatti, il numero complessivo delle imprese registrate in Italia è passato da 6.104.067 nel 2008 a 6.110.074 (+ 0,1%) e quelleda 1.496.645 sono diminuite a 1.461.183 (-2,4%).
La rischiosità delle imprese con titolari stranieri (analisi di Cribis D&B) è pari, grosso modo, a quella degli italiani, ma la mancanza di stabilità del soggiorno determina, per molti, una minore accessibilità al credito. Secondo un’indagine di Unioncamere, Nomisma e Crif (struttura interbancaria fornitrice di informazioni creditizie), agli immigrati viene rifiutata una richiesta di finanziamento ogni quattro presentate, perché considerati più a rischio, specialmente in assenza del diritto a soggiorno a tempo determinato.
Tanto basta per trarre interessanti conclusioni. L’equiparazione tra immigrazione e opportunità si basa sulla capacità di adattamento degli immigrati alle difficoltà, e anche sulla convinzione che questa risorsa debba essere incrementata con opportune politiche a beneficio del paese di origine e di quello di accoglienza, in un’ottica di globalizzazione e di intensificazione deglizate in questo ambito dalla Cna e da altre organizzazioni, incluse quelle ecclesiali, hanno un valido fondamento.
Gli immigrati vanno considerati un ponte verso i paesi di origine, sia come risparmiatori con le rimesse, sia con la creazione di nuovi mercati di consumo, sia come imprenditori.
Essi possono essere validi ambasciatori del paese che li ha accolti e del suo sistema produttivo e commerciale, al cui sviluppo peraltro forniscono un valido apporto. La speranza è che da questo intreccio, mediato dalle migrazioni, derivi un maggiore benessere, una volta finiti gli anni di crisi.
E intanto, consapevoli che l’Italia è frenata dalla grossa palla al piede costituita dal debito pubblico e da diversi lacci che ne ostacolano la crescita, perché non avvalersi meglio dell’apporto degli immigrati in generale, e in particolare di quelli imprenditori?
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