La Grande Mela adesso parla italiano

Stazza da cestista e sorriso pronto: il nuovo sindaco di New York è Bill De Blasio, 52 anni, democratico. De Blasio ha vinto a valanga, prevalendo quasi ovunque, dai rioni popolari della parte centrale di Brooklyn al Greenwich Village a Manhattan, fino alle strade suburbane del Nord Queens, quartieri diversissimi per composizione sociale, etnica e religiosa. È stata la vittoria della “rupture”, del taglio netto rispetto ai dodici anni di Michael Bloomberg, il miliardario illuminato che ha reso New York una città modello e ne ha accresciuto il peso a livello nazionale e internazionale. A nulla è servita la tardiva iniziativa dell’ex sindaco Rudy Giuliani, a favore dello sfidante di De Blasio, il repubblicano John Lhota, che rappresentava la continuità. Nonostante il brillante curriculum, Lhota, 57 anni, non è mai entrato veramente in partita. Il suo programma, troppo in linea con i precetti dell’amministrazione uscente (di cui anch’egli faceva parte), e la personalità anodina, non hanno ispirato gli elettori. Il mantra elettorale dell’italoamericano De Blasio (il nonno era di Sant’Agata de’ Goti in provincia di Benevento) è stato quello delle “due città”. Ha accusato il sindaco uscente Bloomberg di aver accentuato - e non di poco - il divario tra ricchi e poveri e di aver reso Manhattan così cara da essere ormai inaccessibile ai più. De Blasio ha insomma puntato sul nodo dell’uguaglianza. Negli Stati Uniti la sua linea è considerata di tipo progressista radicale, più a sinistra di quella del presidente Barack Obama. La carta vincente per De Blasio, che ha riportato i democratici alla guida della “Grande mela” dopo vent’anni, è stata soprattutto la sua famiglia poco convenzionale. Sua moglie Chirlane è una ex poetessa nera di origini guyanesi, e i figli Chiara e Dante (quest’ultimo divenuto una star anche per la sua vistosa acconciatura afro) lo hanno reso istantaneamente simpatico a un elettorato che va molto oltre quello italomericano tradizionale. E lo hanno fatto risultare anche più credibile quando ha puntato il dito contro pratiche della polizia come quella dello “stop and frisk”, del “fermare e perquisire”, che consente agli agenti di bloccare qualsiasi sospetto, chiedendogli i documenti e ispezionandolo. Una tattica mal sopportata specialmente da afroamericani e ispanici, che vedono nei continui controlli a loro carico un tentativo di tormentarli che poggia, dicono, su una mentalità razzista. A conferma di questo De Blasio ha conquistato il voto nero e quello dei latinos con percentuali bulgare, rispettivamente il 92% e l’82% dei consensi. Da mesi a New York si respirava voglia di cambiamento, anche se a guardare i dati che raccontano la città non se ne comprende fino in fondo il motivo. In sostanza la metropoli è più sicura, più verde e più vivibile rispetto a quando Bloomberg l’ha presa in consegna da Giuliani all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Il crimine è appunto sceso ulteriormente: alla fine del 2012 gli omicidi a New York erano in media poco più di uno al giorno, il dato più basso dal 1963. Eppure, lo spirito della città è quello dell’innovazione, della convinzione che nuovi uomini, motivati e con voglia di reinventare il mondo, possano fare sempre più e sempre meglio. Non tutti evidentemente sono elettrizzati da questa elezione. Da gran parte dell’establishment finanziario e industriale newyorkchese, De Blasio è considerato uno spauracchio. Ma anche molta gente comune, che non necessariamente ha votato il suo sfidante è visto come un radicale che può far tornare New York pericolosa, avvolta dalla cappa delle tensioni razziali. Molti diffidano anche di una sua concezione troppo “liberal” della famiglia e di alcune sue antiche e discutibili amicizie (aveva sostenuto i sandinisti in Nicaragua, il movimento rivoluzionario di ispirazione marxista). Da oggi la difficile sfida per Bill l’italiano è aperta. Cercherà di far meglio di Bloomberg, e non sarà facile.

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