L’Europa tra memoria e inquietudine

«Continuer, continuer, continuer…»: così Robert Schuman rispondeva a chi gli chiedeva, al tramonto della sua vita politica, cosa fosse necessario fare per la casa comune europea. Forse in quei momenti ricordava la commozione che lo prese quando, presiedendo a Strasburgo un importante incontro europeo, ricevette un plico che aprì, davanti a tutti, con ansia febbrile: era la comunicazione che il Parlamento francese a grande maggioranza si era pronunciato a favore dell’opera della sua vita, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Chi fu presente a quella riunione raccontò che il volto di Schuman, uomo calmo e sempre padrone di se stesso, improvvisamente si trasformò, caddero alcune lacrime che bagnarono il foglio di carta. Scrive Sébastien Maillard nel libro «Qu’avons-nous fait de l’Europe?», che raccoglie una sua corrispondenza «immaginaria, ma non finta», con Schuman: «Le vostre lacrime dissero che l’Europa nata in quel giorno aveva un padre. Che non era solo una fredda impresa della ragione». E il giornalista francese aggiunge: «Il progetto europeo sarà salvato quando susciterà nei suoi protagonisti la stessa emozione, con o senza lacrime». Mentre si chiude l’anno cinquantenario della morte e mentre prosegue il processo per la beatificazione di Schuman, questa immagine diventa un messaggio importante per un’Europa in crisi di fiducia e in crisi di avvenire.L’immagine di Schuman si afferma come il messaggio di un padre. Un padre che non ama il paternalismo perché ha a cuore che i figli, con lui e dopo di lui, crescano in umanità e costruiscano il bene nella libertà, con competenza e responsabilità.Per l’Europa questa paternità si è sviluppata solo in parte, ma le omissioni e gli errori compiuti non possono giustificare del tutto il pessimismo, la sfiducia, il rifiuto. La memoria dei padri, come Schuman, Adenauer e De Gasperi, è un appello a non smarrire la direzione della storia e come tale non tranquillizza ma inquieta la coscienza dei figli e dei nipoti. Sarebbe tradire i padri se si riducesse la memoria ai libri, ai convegni, ai busti marmorei e alle lapidi. Non tradire Schuman significa rivolgere agli europei una domanda a lui molto cara: «Cosa ne abbiamo fatto della fraternità?». Attorno a questa parola, che nel vocabolario odierno diventa «solidarietà», Schuman ha costruito il suo pensiero e il suo agire in politica per l’Europa. E ora? Non tradire Schuman significa ricostruire quella cultura della solidarietà che ha dato un’anima all’Europa e che ora rischia di cedere sotto i colpi della paura, del rancore, del finto realismo e della presunzione di salvarsi da soli. Da Schuman viene ancor più forte un appello alle istituzioni perché il funzionamento dell’Europa, prima che sia troppo tardi, riparta sul binario della semplicità e della pedagogia. La burocrazia e la tecnocrazia non possono guidare le sorti del Vecchio continente con la loro macchinosità. La distanza tra cittadini e istituzioni è sempre più fuori misura. L’allarme è suonato. E dunque cosa fare? Allora «non è più questione di parole vane, ma di un atto, di un atto audace, di un atto costruttivo», aveva affermato Schuman introducendo la storica dichiarazione del 9 maggio 1950.Un atto audace e costruttivo è indispensabile anche per l’oggi. La richiesta di Schuman si spinge quindi a chiedere «un’operazione di verità e di riconciliazione» attorno al progetto europeo.«Io intendo per verità - precisa Schuman a Maillard - quella sull’avvenire dell’Europa, cioè sulle trasformazioni da realizzare nella sua economia e nei suoi sistemi sociali e anche sulla finalità della costruzione europea di cui la crisi ha accelerato l’evoluzione dal 2010. Ciò ci inviterebbe a riflettere insieme sul nostro modello di crescita e sulla democrazia in Europa. Le elezioni europee del maggio 2014 sono un momento favorevole». Con più lungimiranza occorre preparare il terreno europeo perché la fiducia e la speranza possano essere seminate e quindi germogliare: occorrono uomini e donne all’altezza del compito. Queste persone ci sono, altre certamente verranno. In un’impresa audace e affascinante, dove l’intelligenza tiene per mano la pazienza, scopriranno la presenza di Robert Schuman: questa è la promessa con la quale egli chiude la risposta, immaginaria ma non finta, alle lettere di Sébastien Maillard.

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