Uno sguardo all’ Europa alla vigilia delle elezioni ci mostra, ovunque, movimenti antieuropei e populistici e partiti in difficoltà. Ogni Paese ha la sua specificità, ma critiche radicali alla politica, ai partiti “storici” e alle istituzioni, alle forme di rappresentanza economiche e sociali, sono ovunque diffuse. Far politica nelle fasi di sviluppo, quando si distribuiscono benefici, è altra cosa rispetto ai momenti di crisi, quando si perdono reddito, lavoro, diritti. O quando si capisce l’inganno della “austerità”, un’ideologia che blocca la ripresa e colpisce un’intera generazione di giovani. Non è questa però la sola ragione della crisi della rappresentanza. L’avvento di tecnologie impensabili in continua evoluzione, l’affermarsi di una soggettività individuale mai così elevata, i processi di globalizzazione e lo strapotere della finanza con riduzione del potere degli Stati nazionali, i mutamenti rilevanti intervenuti nelle imprese, nella famiglia e nel sentimento religioso, determinano cambiamenti radicali nella società che mettono in crisi tutte le organizzazioni collettive, anche i partiti. Le definizioni che vengono spesso usate per evidenziare la crisi dei partiti, “nomenklatura”, “classe politica” ecc sono efficaci per segnalare “distacco” e malcostume, ma, proprio perchè i vizi non sono isolati, ma di sistema, rischiano di offuscare il rapporto partiti-società e la consapevolezza che i partiti cambiano (in peggio o in meglio) in relazione a fasi storiche ed alle evoluzioni dell’ economia e della società. Partiti erano il partito fascista e nazista, i partiti comunisti delle dittature, ma anche i partiti antifascisti che in Italia e in Europa si sono battuti col sacrificio di tanti giovani per riconquistare la libertà. I partiti sono nati come espressione della democrazia, dalla lotta che la borghesia mercantile e poi industriale fece contro la nobiltà sia nel seicento inglese, che nel settecento con la rivoluzione francese. E’ l’Europa moderna, l’Europa della rivoluzione industriale e della formazione degli Stati nazionali che consolida la nascita dei partiti che acquisiscono una fisionomia precisa intorno al 1850. La rivoluzione industriale divorzia dalle monarchie e richiede nuove forme politiche, nuovi Stati nazionali, forma economica e forma politica evolvono insieme. Nel ‘900 però, come sappiamo, e dopo l’esperienza delle democrazie “liberali” (il conflitto era fra conservatori e liberali), la rivoluzione industriale alimenta innovazioni, ma anche sfruttamento e suscita reazioni sociali e la nascita del movimento socialista e comunista con le rivoluzioni in Russia e in Cina. L’Europa, invece, dopo scontri sociali e politici, vede l’affermazione di forme statali autoritarie con partiti totalitari. Inizialmente sono “movimenti”: dai fascismi mediterranei al nazismo, al “leninismo”, con vocazioni diverse e opposte ed anche tratti comuni. Esaltazione del popolo e del nazionalismo, delle innovazioni tecnologiche, dei giovani contro i vecchi, dell’azione veloce, del capo e della fede. Questi movimenti divennero essi stessi partiti totalitari e “l’innovazione” dei fascismi portò alla seconda guerra mondiale che distrusse l’Europa. Ben visibili, dietro i regimi, gli interessi dei gruppi industriali dell’epoca. Sappiamo che il capitalismo si divise: i totalitarismi contro i Paesi democratici. Dopo la grande crisi del ‘29, sollecitati da movimenti sociali e di sinistra, alcuni grandi Paesi e gli USA in particolare, reagirono non con l’autoritarismo, ma con il New-Deal, espandendo consumi e riconoscendo diritti. Bisognerebbe ricordare: il capitalismo per “difendersi” può utilizzare i regimi più violenti, ma sa anche trasformarsi, utilizzare attacchi e critiche per evolversi E’ con questa flessibilità che ha vinto la battaglia con il sistema socialista, risultato illiberale, rigido, statalista e fu Gorbacev a innescare involontariamente la dissoluzione di tale sistema con il suo ideale di “un socialismo dal volto umano”. Dopo la guerra lo scenario muta radicalmente: la ricostruzione e il “boom” economico, una lunga stagione dei diritti, l’inverarsi dello stato sociale e dell’intervento pubblico, grandi mutamenti sociali. Anche i partiti si trasformano, si consolidano, sono “di massa”, ancora con forti ideologie in un mondo diviso in due blocchi contrapposti:grandi battaglie sociali che cambiano l’Italia, lotte antimperialiste e per i diritti civili, grandi mobilitazioni per contrastare P2 e mafie, stragismo e terrorismo, pur in un sistema “bloccato” che non ha alternanza e che alimenta invadenze partitiche e debito pubblico. Ma un nuovo e dirompente mutamento è intervenuto nell’espansione capitalistica negli ultimi decenni: la liberalizzazione dei mercati e dei movimenti dei capitali, la rivoluzione tecnico-scientifica che ha radicalmente cambiato l’impresa e le società a livello planetario, un ambiente “mediatizzato”. E’ quello che alcuni studiosi chiamano il capitalismo “tecno-nichilista”, dove il potere della tecnica, ampliando gli spazi di azione individuale, promette un’autorealizzazione che è vista spesso “come antitetica a forme di legame o di attaccamento a persone, collettività, valori” (Taylor, Magatti) e “l’io” può divenire un “io chiuso”. Alcuni filosofi ci ricordano che “gli uomini per vivere sono sempre ricorsi ad “apparati” e “che tale apparato è dapprima il branco, il clan, la famiglia, la tribù, la potenza del monarca...e poi la polis....Oggi …. l’apparato supremo che subordina a sé tutti gli altri è la Tecnica..Da mezzo per soddisfare i bisogni, la Tecnica diventa lo scopo dell’uomo..”(Severino). Per “Tecnica” si intendono quegli apparati immensi che accrescono indefinitamente la loro volontà di potenza che può non coincidere con il bene della Società. Questi profondi cambiamenti, non sono ovviamente “neutri”, utlizzati da un neoliberismo ideologico che ha acuito la crisi economica,aumentato diseguaglianze, disoccupazione e povertà. Anche l’Europa ne è rimasta prigioniera e Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, paragona le politiche europee “alla medicina medievale che pretendeva di curare i malati con i salassi, togliendogli sempre più sangue.” La “nuova ragione del mondo” sembra essere “la competitività” che da misuratore di efficienza nel mercato, si trasferisce alla società, ai rapporti fra le persone, alimentando rivalità, conflitti, invidia e carrierismi. Se queste sono le tendenze, le culture, i nuovi “poteri” che avanzano nell’economia, nella tecnologia, nella società, è evidente che vi sia rigetto della “forma partito”, tant’è che quasi più nessuno si definisce “partito”Fasi transitorie già viste nel passato? Simon Weil scrisse un “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” dopo l’esperienza drammatica del nazismo, della guerra, dello stalinismo per cui ogni partito era “totalitario in nuce e nelle aspirazioni”. Anche Giannini (movimento uomo qualunque) e Adriano Olivetti (il prevalere della Comunità) ci provarono, tutti con deboli alternative. Eppure movimenti “sottopelle” sono in atto: non solo i partiti si sono indeboliti (ma la società pare avere vizi analoghi), ma due tendenze sembrano emergere. La prima “plebiscitaria”, rappresentata da Obama ed ora da Renzi (con le debite proporzioni) che non dovrebbe dimenticare il patrimonio enorme della militanza e dell’associazionismo che rimane un valore con l’apporto di nuove tecnolgie; la seconda “populista” che cavalca umori e “rabbie”, ma che frammenta e divide ed appare impotente verso la proposta come evidenzia un bel libro di Nadia Urbinati (La democrazia sfigurata).Alle elezioni europee il tema non sarà “Europa sì, Europa no”, ma quali politiche per la “nuova Europa” e quali partiti europei che abbiano un reale forza per bilanciare quei poteri invisibili ed enormi che stanno “svuotando” la democrazia. E il tema non sarà quello di “cedere sovranità”, ma quello di conquistare una sovranità (europea e nazionale) che impedisca a questi poteri immensi di dividere gli europei con egoismi e rivalità che nel secolo scorso hanno portato a due guerre mondiali. Innovazione forte e ricerca costante della giustizia, dunque, in un mondo radicalmente cambiato, per difendere la “civiltà europea” che tutti ammirano.
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