L’ingiustizia più grande? In Africa

Domenica 18 settembre si è svolta la colletta nazionale per il Corno d’Africa, promossa dalla presidenza della Cei, a nome dei vescovi italiani. La situazione nel Corno d’Africa è drammatica: la carestia, la peggiore degli ultimi 60 anni, sta affamando oltre 12 milioni di persone – soprattutto bambini – in Somalia, Kenya, Gibuti, Etiopia, Eritrea, e in misura significativa anche in Uganda, Tanzania e Sud Sudan. Per informazioni sulla colletta e sugli aiuti Caritas: www.chiesacattolica.it. Sulla tragedia africana proponiamo di seguito la riflessione di Cristiana Dobner, carmelitana scalza.

***Nel nostro bosco vivono tanti animali che, senza essere feroci o rari, lo rendono vivo. Bosco claustrale, non conteso da gitanti e frequentato da comitive, silenzioso anche se quotidianamente percorso da monache che passeggiano o da novizie in tuta da jogging; bosco in cui i nostri amici animali vivono tranquilli e indisturbati.Un segnale, una sorta di spia, ci fa discutere animatamente: il welfare ha invaso anche i boschi? Anche gli animali hanno appreso che, regnando l’abbondanza, ci si può permettere di scegliere e abbandonare la preda senza consumarla?Lo dico perché le castagne che lasciamo come loro alimento le troviamo morse, sbocconcellate e poi abbandonate, per ritrovare poco più in là un’altra castagna con gli evidenti segni di un attacco frontale, ma che ha l’aria di uno snack piuttosto che di un pasto completo. In tempi di magra, impareranno anche scoiattoli, topini, a consumare quanto addentato? Peraltro, noi non siamo da meno e ci crogioliamo nel nostro welfare emotivo con la schivata. Schivare è davvero un’arte! Procedere o correre, muoversi rapidamente o con cautela, contiene lo schivare, quel prevedere l’ostacolo e, in un batter d’occhio, trovare la soluzione adatta: saltare, raggirarlo, rallentare e, con una grande curva, decelerare per poi scattare e ritrovarsi al di là: con grande soddisfazione per avercela fatta.È la nostra ancora di salvezza in tutte le situazioni e fa parte della nostra educazione inconscia: vogliamo proteggerci a tutti i costi.Il web, la grande e immensa ragnatela distesa ormai su tutto il pianeta, ci rende contemporanei a ogni evento, ci fa partecipi, dal vivo ma pur sempre a debita distanza, di ogni fatto, realtà e mutamento che colpisca le nostre giornate. Le nostre emozioni vengono sollecitate, i nostri desideri attivati o gonfiati, ci muoviamo in una dimensione che, se allarga la nostra mente e le nostre conoscenze, tuttavia rischia di restringerci e di renderci sclerotici nel cuore, come afferma il Vangelo.La durezza del sentire l’apprendiamo subito, senza fatica, perché è quella schermatura che, in fin dei conti, ci viene presentata come l’unica alternativa alla sopravvivenza emotiva, quando siamo bombardati da notizie che non riusciamo a controllare e ad assorbire nel nostro vivere.Schermarsi è schivare, affermare una realtà ma lasciarla cadere perché troppo ci interpella. È il caso preciso della giustizia, non di quella che devono stabilire e organizzare i magistrati, ma di quella giustizia di cui tutti, indistintamente, siamo responsabili. Ci connettiamo e seguiamo i siti che ci aggradano, non perdiamo una molecola di quanto possa indurci a quella che chiamiamo la partecipazione alla nostra storia. Con tanto di schivata però! Fossimo capaci di sostare sulle immagini di bimbi scheletriti, ridotti ai soli occhi disperati, a corpi che non si reggono in piedi, a sfinitezze che, senza essere medici, si diagnosticano come irrimediabili...Il Corno d’Africa conta almeno 10 o 12 milioni di persone proprio come noi che, di certo, non hanno bisogno di diete ipocaloriche perché patiscono fame e sete, per la carestia che si è abbattuta sui loro Paesi. Probabilmente non ci sentiamo direttamente responsabili delle diverse concause: l’agricoltura mal gestita, i prezzi delle derrate alimentari che dipendono dalle fluttuazioni del mercato e dalle operazioni speculative – come con coraggio disperato denunciano i movimenti contadini –, la peggiore siccità che da decenni abbia inaridito fiumi e Paesi. Bisogna però avere il coraggio di affermare il fallimento: l’incapacità di gestire i beni alimentari del nostro ricco e generoso pianeta Terra. Ondate di popolazioni in fuga, ridotte allo stremo, impossibilitate non a raggiungere il livello d’istruzione medio, un welfare onesto, ma semplicemente nella terribile condizione di non potersi saziare e dissetare.La soluzione per le persone comuni non si trova nelle denunce, nei vertici di emergenza e nelle manifestazioni, si trova nell’affrontare la schivata e non nell’evitarla, nel non ridursi come gli scoiattoli a sbocconcellare la castagna e poi ad abbandonarla, nel capire che un gesto evangelico, come quello della vedova povera, capace però di cedere quel poco che la sostentava, non rientra in quell’accezione tanto detestata di “carità” che continua ad asservire le persone, conservandole nella miseria, ma impedisce loro di cedere e, forse, proprio quel pur misero quattrino ha salvato una vita e ha ridato sorriso al volto di un bimbo.L’ingiustizia più grande è schivare la necessità altrui, abbandonare le persone, senza condividere quanto tra noi abbonda, sbocconcellare appunto una castagna e abbandonarla…L’anonima vedova evangelica – la classe sociale più derelitta, perché priva di statuto e lasciata a se stessa – è testimone silenziosa (non ha pronunciato neppure una parola!) di povertà accertata ma non insensibile, tipica di chi ha provato il segno dell’ingiustizia e ne vuole uscire, senza schivare, senza castagne sbocconcellate.

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