Giovani che manifestano per rivendicare i loro diritti e per denunciare la fatica e il disagio che provano sulla loro pelle, nel tentativo di entrare a far parte del mondo degli adulti, cercando di costruirsi uno spazio di vita concreto. Giovani che vivono e lavorano, lavorano sodo, tra un contratto a progetto e un altro; nel frattempo si sposano, ma non riescono ad accendere un mutuo per metter su casa e famiglia. Giovani che non avendo futuro “si prendono il presente” e non manifestano più, ma distruggono, imbrattano, incendiano, aggrediscono…Condannare ogni forma di violenza è legittimo e doveroso; ma chi si mette veramente in ascolto della parte “sana”? Chi cerca un confronto trasparente, alieno da compromessi pseudo-elettorali? Intercettare la domanda, la domanda concreta di lavoro, di stabilità, di serenità, di giustizia dei nostri giovani è un dovere della società civile.Il tentativo di ridurre i giovani al silenzio e all’insignificanza presenta il grave rischio di annullare la speranza per il futuro del nostro Paese. Da più parti si dice che l’Italia sia un paese in declino: il declino passa necessariamente attraverso l’isolamento di ogni forma di percezione delle istanze proposte dalle giovani generazioni.E non è retorica affermare che l’uscita dalla crisi si concretizza con l’esperienza del contatto con i giovani là dove vivono, con lo sforzo di capire che cosa pensano, quali siano i loro obiettivi, i loro modelli, le loro paure…Oggi, chi per un motivo, chi per un altro, siamo tutti indignati. L’indignazione è una forza solo se conduce alla costruzione di politiche e regole giuste, democratiche e condivise.
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