Mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà

Poche sere fa a Lodi, alle Vigne, abbiamo incontrato Maria Falcone che presentava il suo libro sul fratello Giovanni. All’interno delle drammatiche vicende riguardanti gli ultimi dodici anni di vita di quel fedele servitore dello Stato, Maria ne ha ricordato il fermo convincimento sul più idoneo metodo per combattere la criminalità organizzata, basato, certo, sulla repressione ma, soprattutto, sulla ricostruzione delle coscienze. Lo sconsolato bilancio dell’autrice è che, a vent’anni di distanza dal vile episodio di Capaci, quel processo ricostruttivo, forse debolmente avviatosi sull’onda emotiva dei due delitti (nel luglio dello stesso anno anche Paolo Borsellino venne assassinato), è ben lungi dall’essere completato.Condividiamo il senso di tale affermazione, corredandolo, al contempo, di significati paralleli, poiché lo stesso realistico teorema, formulato dal giudice palermitano profondo conoscitore del fenomeno e dell’ambiente, può essere esteso ed applicato ad altre realtà nazionali, dentro le quali allignano perversioni altrettanto e forse ancor più dannose della mafia.Il decreto anticorruzione recentemente licenziato dal governo, da più parti criticato, se non palesemente osteggiato, è uno strumento repressivo importante, forse il più incisivo dell’Italia repubblicana, la cui efficace traduzione in risultati concreti dipende, però, dal desiderio di cambiamento, serio, autentico, duraturo, allargato e fortemente voluto.E’ indispensabile, con più espliciti termini, ribaltare la celebre affermazione gattopardesca di Tomasi di Lampedusa sui “siciliani che non vogliono cambiare”, mettendo insieme una volta e per tutte, i conterranei di Archimede con gli altri residenti sotto “l’Elmo di Scipio”. Senza alcuna distinzione regionalistica, essi hanno l’obbligo di rifondare, se vogliono ancora contare qualcosa in Europa e nel mondo, un utilizzo più appropriato e compiuto della democrazia, il gran dono lasciato loro in eredità dai padri della Costituzione.Il pensiero di Giovanni Falcone va, tuttavia, completato, con la ricerca dei catalizzatori adatti a facilitare una simile trasformazione.C’è un unico termine che, a nostro modo di intendere, individua il baricentro di quei catalizzatori ed è il rinnovamento profondo, radicale e incisivo, cui si deve tendere in unità d’intenti, ognuno offrendo il proprio contributo.La Giustizia, oggi pachidermicamente lenta, ha bisogno di rinnovarsi, divenendo ciò che i cittadini si aspettano che sia: un organismo equo, rapido, efficace, in grado di manovrare con virtuoso equilibrio la bilancia che ne rappresenta il simbolo. La Scuola che, salvo lodevoli isole sempre più rare, oggi disattende le aspettative dell’utenza, necessita di innovazione intellettuale, non solo strumentale, ben oltre, cioè, il registro elettronico.L’Alta Finanza e il Credito, egoisticamente indirizzati alla creazione di facili profitti, hanno il dovere di ammodernare le proprie regole ed uscire dalla gabbia d’oro univocamente edificata per privilegi e privilegiati.L’Impresa, troppo spesso al solo inseguimento dell’utile non sempre legittimo, dichiarato e tassato, deve volgere lo sguardo in direzione della ricerca e della produttività, investendovi risorse sottratte ai dividendi, così creando opportunità all’azienda, ai dipendenti ed al Paese.Lo Sport che fu quello di Peppino Meazza, Gino Bartali e Duilio Loi, deve potersi liberare dalle laide vicende che lo hanno infangato e rimosso dal cuore degli appassionati. La Pubblica Amministrazione, che soffre, nei suoi visceri, di molteplici anomalie, tra le quali una debolezza immunitaria al “virus bustarellae”, deve trovare terapie adatte a debellarle, finalmente affrancandosi dalla pessima nomea d’inefficienza e lassismo.Il Sindacato, che ha perso di vista il nobile scopo per cui era nato, non può sottrarsi alla domanda revisionista, cercando di recuperare ed attualizzare i valori mirabilmente sintetizzati da Pelizza da Volpedo nel suo Quarto Stato.Ma quest’elencazione, che potrebbe continuare, perde significato se all’invocato rinnovamento di soggetti e idee, non partecipa la Politica e il Popolo. C’è stato un tempo in cui Parlamento e Senato erano frequentati da personaggi di altissimo profilo morale e intellettivo. All’indomani del disastro bellico, costoro hanno fortemente voluto un’Italia laboriosa e onesta, che offriva al mondo merci, cultura, intelligenze. Chi li ha sostituiti, fatte le doverose eccezioni, ha ridotto il Paese ai disonorevoli livelli in cui oggi lo troviamo. Per quale ragionevole motivo dobbiamo, dunque, continuare a mantenere in sella i responsabili di tale scempio? Che venga presto, dunque, il ricambio più esteso possibile, capace di cancellare le vecchie, morbose logiche (?) di parte (partitiche), dando agio ai giovani cervelli, di esprimere tutta la loro fresca potenzialità, al momento ancora compressa e mortificata.Cediamo alla tentazione, per concludere, di rafforzare questa breve riflessione mediante un’ulteriore citazione letteraria di un altro, siciliano eccellente, quel Leonardo Sciascia di Racalmuto. Durante il colloquio tra i due protagonisti nel “Giorno della Civetta”, don Mariano Arena, boss mafioso della tragica trama, divide l’umanità in cinque categorie, attribuendo al suo avversario, il capitano Bellodi, e, implicitamente, a se stesso l’appartenenza alla prima, quella degli uomini.E’ sensato affidare il futuro dei nostri ragazzi ai mezzi uomini, agli ominicchi e ai quaquaraquà, omettendo, solo per decenza, il quarto, affollatissimo esercito? Lasciamo l’assiomatica risposta a chi ha avuto la pazienza di leggerci ed a tutti coloro che hanno voglia di un’ Italia più dignitosa e meno malandrina.

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