Quale meraviglia ha destato agli occhi degli alunni di alcune scuole elementari di Parma quel piccolo robot del tutto simile nei tratti somatici e nei movimenti agli umani. Un robottino umanoide a cui è stato affidato il compito di educare i ragazzi a una corretta educazione alimentare accompagnata da un’altrettanta corretta educazione motoria. Lezioni di un certo rilievo inserite in un piano sperimentale promosso dall’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna in collaborazione con enti pubblici e privati. Una notizia ridotta a un trafiletto senza nessuna sottolineatura, ma che invece la dice lunga sul futuro della scuola. L’originale iniziativa della scuola emiliana fa parte di una più larga veduta di un mondo che corre velocemente, con una certa frenesia, che non si ferma ad aspettare chi rimane indietro. Un mondo in veloce trasformazione dove tutto scorre in tempo reale, con tempi e modalità di vita fortemente diversi dal recente passato e a questa regola non si è potuta sottrarre la scuola che di questa realtà si sente ora prigioniera. Un divario culturale separa oggi la nostra scuola con le sue metodologie e i suoi ritmi dalla società che, al contrario, chiede una forte capacità di reazione e di adattamento. Percorsi, processi, metodi d’insegnamento, strumenti di lavoro e tecniche di apprendimento, tutto è cambiato, ma tutto paradossalmente è ancora troppo lontano dall’evoluzione tecnologica nel frattempo impostasi, che detta tempi e modi diversi di vivere cultura e formazione, saperi e conoscenze. Molti ragazzi sebbene aperti per natura alle novità tecnologiche e alle nuove opportunità formative ad esse collegate, vivono questa consapevolezza in modo disomogeneo. Non solo. Novità e opportunità vengono spesso sentite come un ostacolo che si frappone tra il sistema tradizionale della trasmissione del sapere e i nuovi orizzonti tecnologici che dell’evoluzione ne sono la massima espressione. Alla scuola viene richiesto oggi più che mai uno sforzo notevole di trasformarsi e di portarsi ad un livello coerente con le aspettative che dalla tecnologia pervengono in aiuto. La qualità dell’insegnamento passa anche da questo percorso. Le nuove tecnologie sono lì a dettare nuove regole e nuovi processi senza i quali la scuola rischia di essere vissuta più come una dependance socio-assistenziale che come una fonte o un’opportunità di arricchimento culturale e formativo. Vedere la scuola impegnata in un ruolo diverso comporta anche la necessità di accettare l’idea di considerare come causa prima di questa trasformazione, il fallimento delle storiche istituzioni sociali. E in effetti non è cosa difficile considerare le difficoltà in cui versano oggi istituzioni educative secolari come la famiglia sempre più spesso in antitesi a nuove aggregazioni parentali, gli adulti sempre più compromessi nei loro stessi ruoli educativi, il gruppo degli adolescenti sempre più spesso in crisi di crescita solidale. Questo perché la solidarietà con chi sbaglia smette di essere solidarietà e diventa associazione a delinquere. Sembra che tutto stia andando alla deriva, trascinando con sé valori e rapporti che hanno fatto la storia del cammino dell’uomo. Da tutto questo non si sottrae la scuola che con i suoi riti secolari mantiene ancora oggi vivo, e devo dire purtroppo, il senso del distacco dalle nuove opportunità emergenti. Quali le risposte da dare per evitare di assistere a una sua lunga e lenta agonia. Innanzitutto la capacità di cogliere gli aspetti del cambiamento, sapendoli interpretare in modo tale da non escludere nessuno dalla qualità e dall’efficacia dei nuovi processi formativi. Un luogo comune, ad esempio, vuole la presenza di molti insegnanti in pieno affanno nell’inseguire gli alunni sempre più esperti fruitori di innovazioni tecnologiche. Ragazzi che rifiutano le diseguaglianze delle opportunità mentre cercano nella rete quei contenuti che un insegnante non è disposto a barattare con il tradizionale esercizio verboso. D’altra parte si devono fare i conti con molti insegnanti scettici sulle opportunità che dalle nuove tecnologie possono nascere. E questo perché? Perché non tutte le scuole, non tutti gli insegnanti sono convinti dell’efficacia dei cambiamenti in atto. Una forte resistenza vuoi di apparato burocratico, vuoi di ordine sindacale, vuoi di appiattimento professionale, vuoi di stampo prettamente culturale, impedisce alle nuove metodologie di proporsi in modo estensivo, e così non a tutti è consentito di avvalersi dei vantaggi formativi che dal sistema innovativo derivano. Norberto Bottani autorevole studioso nell’ambito dell’istruzione, salito recentemente alla cronaca per il suo ultimo lavoro “Requiem per la scuola”, a tale proposito parla di “pedagogia della povertà” ovvero della necessità di garantire a tutti i ragazzi un patrimonio comune di competenze e conoscenze ancor prima di qualsiasi tipo di specializzazione, di istruzione, di formazione professionale. Questo vuol dire anche fare in modo che a tutti, nessuno escluso, venga data la possibilità di accedere a ottime scuole e a bravi insegnanti. Purtroppo a malincuore posso tranquillamente affermare che così non è. L’attuale sistema scolastico non consente di garantire a tutti dei bravi insegnanti, non permette di consentire a tutti di accedere a nuove e più efficaci metodologie, non garantisce a tutti un bagaglio minimo di conoscenze, preferendo più che altro, lasciare al proprio destino tanti ragazzi che ritrovano nel sottobosco sociale le risposte che le scuole non sanno o non vogliono dare. E questa sarebbe la risposta alla scuola di massa? Di questo passo la scuola è destinata a fallire il suo compito primario per avviarsi lentamente alla sua inevitabile estinzione. Un processo che si presenta lento e lungo come è nei tradizionali tempi della scuola, ma irreversibile. Non è una visione pessimistica. E’ una costatazione culturale che trova la sua ragion d’essere nell’attuale sistema scolastico che nessuno mai lascerà cadere. Un esempio? Si pensi all’autonomia scolastica che a quasi quindici anni dalla sua approvazione è ancora alla ricerca della sua migliore attuazione. Ma lasciamo pure le cose come stanno. Conviene a molti. In questo modo l’istruzione può continuare a essere segregata socialmente, le strutture scolastiche possono continuare a essere affidate all’usura del tempo, gli insegnanti possono continuare a essere scarsamente remunerati. Risultato? La scuola continua a perdere di credibilità. Ma per tanti va bene così.
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