Provincia, un’arbitraria soppressione

La crisi che stiamo attraversando cambierà l’economia, l’equilibrio politico globale e nazionale, il nostro tessuto sociale. Di fronte a questa situazione la politica e la società civile sono chiamate, ognuna secondo le proprie responsabilità *direttore dell’Ufficio e possibilità, ad assumere decisioni e comportamenti che ci conducano ad una transizione il più possibile positiva e sostenibile. In questa prospettiva occorre rendersi conto che le scelte da intraprendere possono dividersi in funzioni di due variabili: la ricchezza e la giustizia. In una prima ipotesi possiamo immaginare una situazione di tracollo che sacrifichi sia la ricchezza che la giustizia. Potrebbe essere il caso in cui chiudendosi ognuno nel proprio guscio non decidessimo alcun cambiamento: un ozio mortifero e distruttivo. Le nostre ricchezze non varrebbero più nulla, la coesione sociale esploderebbe, un mondo povero e disaggregato, una situazione di “tutti contro tutti”, una società primitiva come la vide Hobbes.

In alternativa potremmo pensare che per uscire da questa crisi serva difendere la ricchezza anche a costo di sacrificare la giustizia. Pensandola tutti così, chi ne trarrà giovamento saranno solo coloro che già oggi dominano la nostra economia: i ricchi delle nazioni ricche. Quando la ricchezza diventa l’unico obiettivo essa è l’unica misura delle scelte e quella che determina il potere: una società plutocratica e disumana. Aumenterebbe la disparità sociale tra le fasce abbienti e quelle povere delle nazioni, scomparirebbe il ceto medio (ovviamente risucchiato tra i poveri), diverrebbe drammatica la separazione tra il nord ed il sud del mondo. Si creerebbe un equilibrio di forza che avrebbe però vita breve, ci sarebbero troppi pericoli per la sicurezza, troppi vedrebbero a repentaglio la propria sopravvivenza: la gente chiederebbe un cambiamento radicale.

Dall’altro lato potremmo considerare una società che miri alla massima giustizia senza curarci della ricchezza. Rafforzeremmo lo stato sociale, offriremmo servizi, avremmo una società massimamente inclusiva. Sacrificare la ricchezza significherebbe però deprimere un’economia in difficoltà che, può sembrar brutto dirlo, proprio sulla ricchezza fonda posti di lavoro, flussi di reddito, incentivi all’innovazione e alla competitività. Il rischio è quello di sanare bisogni ed ingiustizia, creando nello stesso tempo nuova povertà che non riusciremmo più ad aiutare perché non ne avremmo la possibilità economica. Nel tempo si creerebbe una società che in nome della giustizia sociale, ad un certo punto, si accorgerebbe di aver non poter più far fronte ai bisogni di tutti.

La prospettiva ultima è dunque quella di salvare ricchezza e giustizia. Ad una prima analisi sembra una soluzione impossibile: in realtà tutto dipende da cosa vogliamo intendere con questi due termini. Potremo salvarli entrambi se impareremo a chiamare la ricchezza con il nome di sobrietà e se, allo stesso tempo, al termine giustizia affiancheremo quello di responsabilità. Pensare che la ricchezza da salvare sia l’eccesso ed il consumismo sfrenato dei nostri giorni non è sostenibile. È ormai assodato nel pensiero economico che esistano risorse sufficienti ai bisogni di tutti, ma insufficienti agli eccessi di pochi. I ripetuti richiami dei vescovi all’assunzione di nuovi stili di vita orientati alla sobrietà vanno in questa direzione. Si tratta di una sobrietà individuale, ma anche di una sobrietà di sistema che in ultima analisi deve coinvolgere le stesse istituzioni: non è un “patto di stabilità” è un nuovo atteggiamento culturale.

Nella prospettiva della giustizia occorre che ad essa si affianchi una forte responsabilità di singoli, aziende ed istituzioni nel sentirsi parte attiva di un sistema solidale che crea coesione sociale ed equità. In questo percorso massima importanza assume il sistema fiscale. In prima istanza deve essere garantito che tutti assolvano l’obbligo del pagamento delle imposte, contrastando il vergognoso ed irresponsabile fenomeno dell’evasione fiscale.

È aumentando il senso di responsabilità di ognuno nel perseguimento dell’obiettivo del bene comune che si possono aiutare comportamenti che contrastino l’evasione fiscale. Questa lotta civile, se ben supportata da normative efficaci, potrà aiutare a porre rimedio a questa piaga. In secondo luogo occorre che il sistema fiscale sappia garantire equità nel prelievo con particolare attenzione alle fasce deboli della popolazione.

Si potrebbero avanzare molte teorie a riguardo, preferisco limitarmi ad un’indicazione che arriva dalla saggezza di una canto liturgico sulla vita delle prime comunità cristiane: “nessuno soffriva umiliazione ma secondo i bisogni di ciascuno, compivano una giusta divisione perché non fosse povero nessuno”.

Le fasce economicamente più forti del paese devono sentire sulle proprie spalle questa grande responsabilità. All’equità del prelievo fiscale si affianca quella della spesa pubblica: non è possibile che soldi pubblici vengano sperperati a favore di un apparato politico che gode di ingiustificati ed iniqui privilegi. Alla politica ed alle istituzioni è dunque chiesta l’assunzione di responsabilità nel porre rapido ed efficace termine agli eccessi che ben conosciamo.

La misura della giustizia non può poi sacrificare quella indispensabile formula di coesione sociale e di ricchezza umana che è la famiglia.

Nel pieno rispetto di quanto sopra, auspicando soluzioni efficaci nella via della sobrietà e di una rinnovata responsabilità per il bene comune, intendo porre l’accento sull’arbitraria soppressione di alcune delle provincie del nostro paese. I numeri ci portano a considerare che questa non sia una soluzione risolutiva. La logica ci porta a pensare che un provvedimento palesemente reo di mancanza di organicità non aiuti la coesione istituzionale del paese.

Rispetto all’esperienza della nostra provincia di Lodi, non posso che affermare come la possibilità di poter operare scelte a livello provinciale abbia portato ad una crescita del senso di appartenenza della gente, responsabilizzata nella sorte del proprio territorio. Basti ricordare gli Stati Generali del Lodigiano o tutte le organizzazioni, pubbliche o private, che si sono unite a livello provinciale per sostenere progetti specifici.

Come Diocesi vogliamo affermare di aver sempre trovato, in tutte le amministrazioni provinciali che si sono succedute, interlocutori disponibili ad ascoltare le nostre sollecitazioni. In ultima analisi la scomparsa della provincia metterebbe in grossa difficoltà non solo la gestione dei servizi e delle politiche per il lodigiano, ma anche quella rete di relazioni, consolidatesi in questi anni, che permettono la crescita del capitale sociale del territorio.

Nel rispetto delle scelte concrete che il legislatore e gli organi competenti vorranno assumere, nella massima libertà delle loro decisioni, si rende necessaria una profonda riflessione sull’effettiva utilità di un provvedimento di riorganizzazione istituzionale strutturato secondo i termini in proposta.

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