«La vita è tutto quello che succede, mentre noi parliamo d’altro» ci rammenta Oscar Wilde scrittore e saggista quasi ad ammonirci di essere concentrati sulla realtà che ci circonda e di non lasciarci prendere dalle tante chiacchiere che portano solo ad allontanarci da essa. E qual è la realtà che circonda i nostri ragazzi? Quale la nostra, adulti incantati dai nuovi piaceri, presi solo dal nostro egoismo giustificato dalla bontà del risultato? E dove mettiamo la solidarietà? A leggere certi fatti di cronaca accaduti ultimamente c’è da porsi queste e altre domande, ma noi adulti preferiamo parlare d’altro perché certi problemi ci impegnano troppo. In quanto esperti del mondo del pallone, ad esempio, preferiamo parlare di calciomercato; in quanto sciupafemmine preferiamo parlaredi donne; come esperti di finanza pensiamo ai prossimi investimenti. Ma la realtà è un’altra. E’ quella che ci racconta di ragazzini minorenni esperti rapinatori a volto scoperto incuranti delle telecamere che li riprendono e li immortalano per la gioia della cronaca; è quella di un ventenne vittima di un violento pestaggio fuori della discoteca nel frusinate per colpa di una bevanda pretesa e non ceduta al solito bullo; è quella di un ragazzino disabile di tredici anni che per anni è stato violentato da un gruppo di minorenni nel napoletano, in un contesto ambientale dove degrado morale e omertà sono di casa. L’orrore si fa storia, ma proprio per questo suscita paura, ribrezzo e allora meglio parlare d’altro, meglio girare la testa dall’altra parte e vivere lo stato d’animo delle tre scimmiette, «non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male». Checché se ne dica, questa è la realtà. A questa realtà rivolge il pensiero Papa Francesco quando durante la recente visita a Milano ha rivolto parole di un severo monito agli 80mila ragazzi che affollavano gli spalti di San Siro. Un coro da stadio lo ha accolto, che si è fatto silenzio quando ha rivolto un forte appello contro il bullismo. «C’è un fenomeno brutto in questi tempi – ha sottolineato il Santo Padre - che mi preoccupa nell’educazione, il bullying (bullismo). Per favore, state attenti. Ascoltatemi. Nella vostra scuola, nel vostro quartiere c’è qualcuno al quale voi fate beffa, voi prendete in giro, perché ha qualche difetto, perché è grosso, perché è magro e a voi piace fare passare vergogna e anche picchiarli per questo, pensate, questo si chiama fare bullying (bullismo). Per il sacramento della santa cresima fate la promessa al Signore di mai fare questo e mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola e nel vostro quartiere. Capito?». Parole semplici che sanno di esortazione e di richiamo a un impegno affinché questo cattivo fenomeno non trovi linfa tra i ragazzi. Parole semplici che riescono a emozionare tutti soprattutto quando ha abbracciato i genitori di Vincenzo, un bambino rimasto vittima di bullismo, perché grasso, seviziato in un autolavaggio di Napoli con il tubo del compressore con conseguente lacerazione dell’intestino. I tempi che viviamo sono carichi di strane dinamiche sociali favorite dalla realtà digitale che purtroppo non aiuta nella crescita i ragazzi quando sono lasciati senza guida e senza punti di riferimento. Lo stile di vita è mutato tantissimo negli ultimi decenni e a farne le spese sono soprattutto loro, i ragazzi, che hanno avuto tra le mani la possibilità di vivere in modo più spensierato. E invece tutto questo è stato travisato al punto da vedere nella tecnologia l’occasione prima per emergere in azioni preoccupanti che tradotte socialmente si chiamano cyberbullismo, insulti e minacce, selfie ammiccanti che, un po’ per divertimento, un po’ per esibizionismo finiscono in rete per la gioia dei navigatori. Talvolta non c’è limite nemmeno all’incoscienza quando tutto questo si traduce in selfie sui binari, sfidando l’arrivo del treno per mostrare la forza del coraggio talvolta mutato in tragedia dal tragico esito dell’evento. Ma perché questi nostri adolescenti arrivano a tanto? Un dato potrebbe essere trovato nella loro storica carica emotiva che se incontrollata porta questi ragazzi a vivere esperienze alla ricerca del limite. «Però sono ragazzi e, com’è noto, gli esseri umani – diceva Flaiano – nascono rivoluzionari e muoiono pompieri». Loro non amano le mezze misure. Amano fare i rivoluzionari, i super eroi, si credono inossidabili, espressione di un potere che esiste solo nel mondo virtuale. Talvolta ciò che è difficile non è denunciare le cose che non vanno quanto nello stabilire delle regole per far sì che le cose cambino. Volete un esempio? Sappiamo tutti che oggi i ragazzi vivono il fine settimana tra un bar e una discoteca, tra un bicchiere di birra e un aperitivo alcolico, tra un ballo ritmato dal disc-jockey e uno sballo esagerato dalla canna. La compagnia tra ragazzi e ragazze è tra le migliori che si possa desiderare. Il tutto condotto in orari che si trascinano fino all’alba. E questo è un fatto che sfido chiunque a confutare. Dov’è il problema? Provate a dare degli orari di rientro diversi dai tradizionali; provate a parlare di regole da rispettare e di comportamenti da tenere e poi aspettatevi le reazioni. I ragazzi oggi sono abituati a pretendere per ottenere, a desiderare per entrare in possesso. Persino i sentimenti sono mutati. Hanno voglia di fare all’amore? Lo fanno. Dov’è il problema. E’ come farsi un aperitivo al bar. Guardarsi negli occhi? E perché? Hanno a disposizione WhatsApp che aiuta a risolvere la relazione senza parlarsi. Sì perché anche parlarsi per loro è un problema. Sorvoliamo sullo scrivere. Preferiscono la scrittura criptica, fatta di loghi e faccine, icone e cuoricini, immagini e filmatini. E’ più semplice. Saranno felici? Ho dei seri dubbi a proposito. Quando tra due persone manca un minimo ci comunicazione così come la intendiamo tutti, quando non ci si guarda negli occhi difficilmente può nascere qualcosa di buono. E’ pur vero che a Dante ballavano gli occhi nel vedere Beatrice, eppure il sommo poeta ha scritto un capolavoro della nostra letteratura; lo stesso Leopardi comunicava pochissimo con Fanny Torgioni Tozzetti eppure è grazie a lei se ha scritto “A Silvia”. Se Dante arrossiva nel vedere Beatrice, Leopardi si bloccava quando incontrava la sua Fanny. Ma in questi casi a prevalere erano i sentimenti che oggi purtroppo mancano.
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