Turpiloquio, non restiamo indifferenti

Il turpiloquio in classe va severamente punito. A dirlo e a farlo ci ha pensato, a modo suo, Manuelita Vella docente di Ed. Motoria all’Istituto Tecnico “Olivetti” di Monza. La notizia, resa nota da ItaliaOggi il 24 dicembre scorso, è di quelle che merita la massima attenzione, visto che oramai di sboccate a scuola e fuori scuola i nostri ragazzi sono dei grandi esperti tanto da esserne fieri e orgogliosi per essere diventati anche dei punti di riferimento. A sentirli parlare, specie quando sono in gruppo, si ha la sensazione che facciano a gara a chi la spara più oscena tanto da godere dello sguardo sdegnato di chi è vicino. Il turpiloquio viene ritenuto un valore aggiunto utile e necessario per imporre la propria personalità fino a conquistare piena autorevolezza presso i compagni di cordata. Non è un fenomeno prettamente maschile. A contendere il primato ai ragazzi, sono scese in campo anche le ragazze, alcune delle quali appaiono sempre più avanguardiste, sempre più determinate a imporre la loro sguaiata leadership, sempre più corteggiate poiché risolute nel volgarizzare con qualche giaculatoria da bassi fondi, pensieri e riflessioni, contribuendo a dare al dialogo tra coetanei un timbro decisamente volgare, quasi da scaricatori di porto. La nostra insegnante evidentemente stufa di ascoltare a scuola certe espressioni di bassa lega, ha pensato bene di tassarle. Probabilmente l’idea l’ha presa dai nostri politici che presi da tanta voglia di raddrizzare il pil, continuano a tassarci senza tanti complimenti. E allora cosa si inventa la prof.ssa Manuelita? Una gabella commisurata al peso del turpiloquio. Si parte da 50 centesimi per un semplice e sopportabile sostantivo organico, entrato, oramai, nel luogo comune dell’espressività di tutti, tanto da perdere gran parte della sua salacità senza distinzione di censo, età, sesso e religione. Uno di quelli la cui popolarità lo ha reso talmente famigliare che non c’è da meravigliarsi poi tanto se un domani qualche linguista decidesse di proporlo come neologismo nazional popolare ai membri dell’Accademia della Crusca. Diversa la tassazione per gli sproloqui più gravosi e difficili da digerire, quelli che tirano in ballo persino il nostro buon Dio, così paziente nel sopportare le pesanti insolenze di questi sguaiati giovanotti e sagaci signorine. Per costoro la sanzione pecuniaria arriva a tre euro. L’iniziativa pare che funzioni. Che fine fanno i soldi raccolti? La docente, dopo aver evidentemente ben esaminato le diverse possibilità, ha deciso di destinarli alla realizzazione di un progetto in India. «Pecunia non olet» diceva l’imperatore Vespasiano. Su questa battuta c’è una curiosa storia che ha a che fare con i vespasiani e che, per opportuna decenza, ve la risparmio. Rimane un fatto però. Questi ragazzi sostengono e infarciscono di espressioni volgari le loro riflessioni senza che alcuna condizione possa determinarle. E mi spiego. Un conto è alleviare l’esplosione di rabbia, quasi a cercare di lenire la sofferenza con una parolaccia causata da una martellata sul dito anziché sul chiodo mentre si è impegnati ad appendere un quadro, altro è ricorrere al più classico incipit sessuale simile a un intercalare mentre si è impegnati in una discussione. In sintesi un’imprecazione a sondo organico può forse trovare una sua collocazione naturale in un rapporto di causa effetto, ma dare libero sfogo ai neuroni della volgarità senza freni inibitori non può avere nessuna comprensione. I ragazzi talvolta, si sa, vivono di eccessi e ricorrere a parolacce oppure a oscenità in maniera ripetitiva sembra quasi trovare una loro naturale giustificazione. E invece è sbagliato. E’ come volere ridere a un funerale o piangere a un matrimonio. Per carità. Può essere anche che ciò si avveri. Nel primo caso può essere che qualcuno erediti una fortuna inaspettata, e allora forse di nascosto, giusto per salvare almeno un po’ di contegno, se la ride per il colpo di fortuna; nel secondo caso può essere pure che al matrimonio qualcuno pianga di felicità e qualcuno si disperi. Dipende dal proprio punto di vista. La pensa così Boris Makaresko, attore, scrittore, comico, quando dice: «Le donne piangono il giorno del matrimonio. Gli uomini dopo». A volte ho la sensazione che ricorrere a volgarità intercalate, altro non è che affidarsi a una sorta di mitizzazione richiesta dalla società omologata. Ovvero ragazzi, ma anche adulti, ricorrono al turpiloquio solo perché così chiedono cultura e valori della società contemporanea e anche perché così si è identici a tal punto da interscambiarsi funzioni e parole in una sorta di processo di livellamento culturale. Così facendo tutto trova una propria logica di comprensione. Tanto le dicono tutti! Non parliamo poi della volgarità regnante su internet. Abbiamo avuto una chiara dimostrazione in questi giorni con Caterina Simonsen la ragazza malata pesantemente e volgarmente insultata sul profilo Facebook per aver difeso la sperimentazione animale in farmacologia. Nessun ambito è immune da questa imperante volgarizzazione del pensiero. Questo vale per il cinema, la televisione, ma anche per i dibattiti, i confronti pubblici e privati. Oramai non c’è dialogo senza offesa, non c’è espressione senza sboccamento, non c’è comunicazione senza imprecazione. Allora c’è da chiedersi: è possibile fare a meno di questa cattiva abitudine? Credo proprio di sì. Ora al di là dell’originale idea della docente di Monza, c’è un lavoro di base che deve necessariamente impegnare tutti nel confrontarci. Con i ragazzi è richiesto un impegno maggiore visto che noi adulti, nel bene e nel male, siamo dei punti di riferimento e questo deve far riflettere più di ogni altra situazione. E’ questione di educazione e di rispetto per quello che si dice e per quello che si fa. Dobbiamo misurarci tutti e dappertutto. A casa come a scuola, in compagnia come in famiglia, al bar come in piazza. Basta con le volgarità, basta con la libertà di espressione intrisa di uno pseudo valore confidenziale fatto di battute sguaiate, licenziose, triviali. Non ha senso. E’ mai possibile sentirsi soddisfatti nel ricorrere alla volgarità come mezzo e strumento per mostrare persuasione e falsa sicurezza? Chi la pensa così è proprio un illuso.

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