E il 2 di novembre. Puntualmente, come ogni anno, si commemorano i defunti, per tradizione, per fede, per un moto del cuore. Recarsi al cimitero, nel giorno dei morti come in qualsiasi altro giorno, significa riprendere quel legame, momentaneamente spezzato dalla morte, con quanti abbiamo amato, o anche semplicemente conosciuto o incontrato. Significa andare a ritroso nel tempo e nella vita e ricucire momenti e sprazzi di vissuto, rimasti indelebili per il segno lasciato sul nostro cammino. Il ripetersi di questo gesto non cade mai nell’abitudine o nella retorica; è un gesto necessario, permeato di una funzione catartica, perché riconcilia la vita con la morte, il terreno con il divino.
La visita al camposanto si traduce così in un momento di grande consolazione, perché la vibrazione degli affetti, in apparenza persi, si fa tanto forte da essere tangibile, coinvolge il cuore e lo spirito e concede benefiche boccate di speranza.
Di fronte all’effigie di chi portiamo nel cuore il dolore della perdita si fa meno struggente, l’addio assume i contorni di un arrivederci, una sensazione di pace si infiltra nel cuore, tenendo a bada dolore e rimpianti, ricacciando lacrime e nostalgie.
Il cimitero ha un notevole potere taumaturgico. Anziché esacerbare irrisolti perché, insolute domande, esso infonde serenità e mitezza, spegne asperità e acquieta pulsioni. La mestizia del luogo insegna a meditare sul mistero della morte, ne ridefinisce i contorni, smussando ataviche paure ed istintivi rifiuti. Aiuta a dare un volto diverso alla vita, perché di essa si colga l’essenza, di essa non si sperperi il valore.
Ridefinisce anche la valenza del tempo, eterno ed infinito nel suo incedere, ma così contingente e limitato nel percorso terreno di ciascuno. Al Camposanto la finitezza di ogni vita confluisce nell’eternità di un’umanità tutta, che dal suo sorgere al suo morire si ripete e si rinnova.
Con gesti semplici e amorevoli affidiamo all’incanto dei fiori il richiamo allo splendore della vita, al suo rinnovarsi incessante e continuo; alla preghiera affidiamo il segreto degli affetti, il palpito delle emozioni, le speranze più recondite.
Veglia sovrano sulle tombe e su chi in esse riposa un silenzio grave e al contempo dolcissimo. Non vi è silenzio più struggente. Ogni rumore è lontano, nessun brusio infastidisce il pensiero. Il mondo sta fuori, racchiuso nel suo non-senso. Non può entrare nel luogo della quiete, dove solo il muoversi delle fronde sa far sentire la sua melodia, dove solo il vento o la pioggia possono sussurrare cantilene di delicata armonia, dove solo i piccoli esseri che la natura custodisce riescono a muoversi con passo leggero e indisturbato.
I nostri cari dormono. Il sonno sarà lungo, ma sereno. Attendono il risveglio nel ritorno del Signore, una nuova vita ed un nuovo inizio, l’immortalità promessa e la felicità senza fine.
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