Se un uomo con due cavalli può rompere il cerchio del giusto e del diritto significa che la legge non è uguale per tutti. Che il sopruso è la via di chi sa di essere sempre e comunque difeso, contro ogni ragione, umana o divina. Ma quali sono le conseguenze di un'ingiustizia subita? Quale effetto può avere sul cuore di un individuo un torto di cui non si capacita? È un ritratto che va dritto al cuore il Kohlhass di Marco Baliani, spettacolo “cult” nato, nel 1989, dalla penna dello stesso Baliani (fra i massimi esponenti del teatro di narrazione con Ascanio Celestini e Marco Paolini) e da Paolo Trotti. Un quadro che prende forme, colori e suoni soltanto dalla voce e dalla gestualità dell'attore e che, venerdì sera, ha acceso il palco del teatro Nebiolo di Tavazzano per il terzo appuntamento della stagione di prosa. Un racconto nudo e crudo che sembra arrivare direttamente dal cuore di chi lo porta in dono agli spettatori. Baliani è solo, seduto su una sedia, in mezzo ad un palco vuoto, illuminato da una luce fissa, senza orpello alcuno. Né musica, né immagini, niente oltre alla parola. Alla sua forza evocatrice, in grado di costruire e distruggere mondi interi, di muovere (portando lo spettatore al trotto con i cavalli di Kohlhass di cui ci restituisce anche il rumore di zoccoli e nitriti) e di commuovere (entrando negli anfratti più intimi dell'animo con la voce rotta, il pianto sommesso, gli occhi invasati di rabbia e terrore per quanto gli accade). La storia scelta per mettere a confronto giustizia e ingiustizia, potere e impotenza, ribellione contro una legge che non è uguale per tutti, è quella tratta dalla novella del 1811 di Heinrich von Kleist. Protagonista il mercante di cavalli, Michele Kohlhass, in viaggio per Desdra con la sua mandria da cinquanta esemplari da vendere al mercato. Belli e forti, come i due morelli che considera il suo orgoglio, la sua soddisfazione personale, che suscitano in lui un sentimento di pienezza che gli fa dire «a guardarli sembrava di vedere Dio. Anzi, erano Dio». E proprio quei due cavalli, per un capriccio, un sopruso, per la voglia di imporre il proprio potere, gli vengono sequestrati da un barone. La prima reazione è quella dell'uomo saggio, misurato, che chiede quanto gli spetta e si rivolge alla legge, «una parola così piccola che sta nella dita di una mano». Una parola che si lega a giustizia e che, nel caso di Kohlhass, rimano ben presto orfana. Da qui inizia la corsa negli abissi dell'irrazionale, che distrugge la sua vita, si mangia per pezzo per pezzo la sua anima di uomo giusto, lo conduce alla testa di un esercito di disperati, come lui, a sfidare il potere imperiale assaltando e conquistando le città di Germania che danno rifugio al barone. Fino all'epilogo, amaro, che chiude il cerchio della vita e della giustizia, restituendoci un mondo non così distante da quello dei nostri giorni. Alla fine, applausi a scena aperta e ovazioni.
Rossella Mungiello
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