Anche la penna di Andrea Maietti per “ridare vita” a Fausto Coppi
Una raccolta (di Bolis edizioni) dedicata alla figura del Campionissimo
Un gioco letterario: dare “una vita in più” a Fausto Coppi. Come se non fosse morto, a soli 41 anni, il 2 gennaio del 1960 in una stanza dell’ospedale di Tortona: cosa sarebbe successo se il destino si fosse distratto o scostato di poco dal tragico piano e avesse consentito al “Campionissimo” di continuare il suo viaggio terreno? Come avrebbe vissuto gli anni del boom economico, che ruolo avrebbe avuto nell’evoluzione del ciclismo, come sarebbe invecchiato? Hanno provato a rispondere 20 autori – scrittori, giornalisti, semplici appassionati - chiamati a raccolta da Gianni Rossi e Gino Cervi, curatori di “Una vita in più. Gli anni immaginati del Campionissimo”, prezioso volume appena uscito per i tipi di Bolis (128 pagine, € 14).
Dello squadrone fa parte anche Andrea Maietti, “coppiano” di ferro per eredità paterna. Lo scrittore di Cavenago d’Adda (la sua “Costaverde”) ha incentrato il suo racconto sulla figura di Romeo Venturelli, il “delfino” di Coppi, l’atleta che più di ogni altro avrebbe potuto seguire le tracce dell’ “Airone” ma che rimase inghiottito nella sua scarsa propensione al sacrificio.
Maietti - scrittore e collaboratore storico delle pagine cultrali del nostro qutidiano - immagina una telefonata tra i due, durante il Giro del maggio 1960. Venturelli si era appena ritirato, dopo aver stravinto la cronometri bruciando un certo Jacques Anquetil. «Tutti i tifosi di Coppi sognavano una sua “reincarnazione” in un altro corridore – racconta lo scrittore lodigiano -. Venturelli fu il primo a darmi questa illusione. Coppi disse di lui che sarebbe diventato il suo erede: Venturelli era un atleta di grande di qualità, e lo dimostrò battendo i più grandi passisti dell’epoca, ma incapace di condurre vita da atleta. Dopo la vittoria nella crono di Sorrento al Giro del 1960, probabilmente, così si narra, fece una scorpacciata di cetrioli che lo mise fuori gioco. Immagino questa telefonata con Coppi: io penso che con il “Campionissimo” al suo fianco, Venturelli avrebbe potuto davvero fare una carriera diversa».
Maietti, nel 1958, durante il Circuito degli Assi a Chignolo Po, visse l’ultimo volo dell’Airone. «Tutti pensavamo che fosse immortale. Sfrecciò a dieci centimetri dal mio naso, come un fantasma, non sentii nemmeno il sibilo della ruota. Passarono pochi minuti e l’altoparlante annunciò: “Coppi è stato ripreso, gruppo compatto”. Mio padre mi fece segno: “’Ndém”, andiamo. Si era appena a metà corsa, ma ormai sapevamo che tutto era finito. Per sempre». O forse no: restano gli “anni immaginati” del Campionissimo, la “vita in più” che solo la letteratura può regalare.
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