Antonio Mazza e la fotografia che si fa anche materia

Intervista al protagonista della mostra “Storia professionale di un fotografo” organizzata dalla Fondazione Banca Popolare alla Sala Bipielle Arte a Lodi

Prima di andare via, alla fine dell’intervista, le ultime parole di Antonio Mazza rimarcano ancora l’incontro determinante con la polaroid, che gli ha consentito di attraversare un fondamentale confine creativo; e per lo “still-life”, suo primo amore. La conversazione era avvenuta lungo la bella “Storia professionale di un fotografo” organizzata dalla Fondazione Banca Popolare alla Sala Bipielle Arte, curata da Enrico Prada e Walter Pazzaia, e allestita fino al 25 aprile: un’ottantina di immagini che mettono in fila un’articolata grammatica di intenzionalità, tematiche e procedure, tra le quali le sorprese sono garantite anche per chi dell’autore ritiene di avere visto più o meno tutto.
Mazza esordisce davanti al trionfo di una tavola di cibarie accarezzata da chiarori rinascimentali, dove la definizione di “scrittura con la luce” che traduce il termine “fotografia” si rende suggestivamente evidente. «È una fotografia davanti alla quale in tanti si soffermano stupiti. Un lavoro “da studio” degli anni ’90 realizzato con il banco ottico, un procedimento allora di routine, che esigeva però una giornata intera per mettere a punto composizione e ambientazione, fino alla scelta dei particolari da evidenziare con lo studio della luce; proveniente da destra, in questo caso, ma ammorbidita da altre fonti laterali. Tutto doveva essere messo a punto prima dello scatto: di là da venire la possibilità di ritocchi successivi con il computer». E poi le inquadrature inusuali, la scoperta dell’intervento sulla materia per ottenere parti in rilievo e tato altro ancora.

Leggi l’intervista sul “Cittadino” in edicola sabato 23 e domenica 24 aprile o sull’edizione digitale

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