ARTE La mostra su Carena alle Gallerie d’Italia di Milano
Fino al 29 settembre un’indagine sul pittore torinese
Fino al 29 settembre alle Gallerie d’Italia di Milano, sorprende una mostra interamente dedicata a Felice Carena e non perché il pittore torinese non meriti un’approfondita indagine sulla sua opera. Tutt’altro. Ma perché si vive in un epoca in cui è facile bollare da parte delle élite culturali o almeno è stato facile demonizzare artisti e opere come consequenziali a un’idea di Italia sorpassata dalla storia e dagli eventi che hanno portato un intero ventennio del ‘900 a schiantarsi in un’assurda guerra mondiale, non sapendo o facendo finta di non vedere che, per molto tempo, è stata quasi sempre l’arte ad anticipare la politica e mai il contrario. Tuttavia, non si può negare che Carena, già Accademico d’Italia, non abbia aderito al fascismo. E che da questi abbia tratto onorificenze e onori, riconosciuti pure all’estero. Detto questo: nella sua lunghissima vita, era nato nel 1879 ed è morto nel 1966, Carena abbia in un certo senso espiato sue possibili colpe e connivenze ritirandosi dal ’45 a Venezia (assaporandone le malinconie e dove è sepolto nel cimitero di San Michele che ospita le spoglie di personaggi come Stravinskij, Diaghilev, Vedova, Nono) che la sua pittura sembra non avere. La selezione di opere di questa mostra, curata da un quadrumvirato critico del calibro di Luca Massimo Barbero, Virginia Baradel, Luigi Cavallo e Elena Pontiggia, sta a dimostrarlo e ne resterà traccia, oltre che sugli smartphone dei molti visitatori (molte delle opere di Carena sono instagrammabili), nello splendido catalogo edito dalle stesse Gallerie con Skira. Dagli inizi in cui i temi si confrontano con le istanze più avanzate del liberty, del simbolismo e più tardi del secessionismo viennese (osservare le tele dei primi anni del XX secolo come l’ Ofelia del ’12) più congeniali a un giovane che si fa strada in una Torino capitale italiana già a fine ottocento delle novità moderniste europee (l’auto, il cinema, l’opera e una nidiata di scrittori in bilico tra intrattenimento e critica sociale), s’intravede la maturità dei decenni successivi. Gli “still life” e i paesaggi degli anni di mezzo non evadono dai solchi tracciati da Morandi e da Soffici. Per citare due estremi però quanto vicini a Carena al pari di sotterranee influenze picassiane (ma vuoi sfidare chi non le aveva in quegli anni?). Più complessa la lunga teoria di ritratti che sfoceranno poi alla fine della sua vita in soggetti biblici, evoluzione di sentimenti religiosi da sempre appartenuti alla sua pittura.
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