Cultura
Giovedì 08 Agosto 2013
Arte sacra, un lodigiano tra i “big”
Sei chilometri di filo e dodici ore di lavoro al giorno per tre mesi
per realizzare l’arazzo della mostra “Arimortis”, in scena fino all’8 settembre: «Certe notti mi addormentavo con ago e filo in mano»
Scavare tra le lettere per concentrarsi sugli spazi bianchi del linguaggio, nel silenzio; scavare nell’arte per arrivare alla sua essenza, alla riflessione sul rapporto tra l’uomo e l’infinito, sul dialogo che si nasconde nel profondo dell’anima umana. È questa l’ambizione che pervade il lavoro dell’artista lodigiano Michele Napoli e della moglie Maria Stella Tiberio, che hanno portato avanti un progetto artistico improntato sul senso profondo del linguaggio, approfondendo in particolare il linguaggio biblico. Questo percorso di studio ed espressione artistica ha portato Michele e Stella a realizzare diversi lavori sulla tematica religiosa nel Milanese e in tutta la Lombardia. E l’ultimo traguardo è stata, a partire dallo scorso aprile, l’esposizione all’interno della mostra Arimortis, nata da una collaborazione tra il gallerista Milovan Farronato, e l’artista Roberto Cuoghi. Il lavoro di Michele Napoli e Maria Stella Tiberio è così entrato a far parte di una collezione temporanea nel prestigioso Museo del Novecento, in piazza del Duomo a Milano, accanto a Palazzo Reale.
IL DIALOGO TRA GIOBBE E DIO
«Arimortis: questo è il titolo della mostra. Forse più conosciuta nella versione abbreviata, “arimo”, questa parola indica la pausa nel gioco, tra bambini, ma probabilmente deriva da un termine latino con cui veniva chiamata la giornata di pausa durante una guerra, in cui i soldati raccoglievano i propri caduti dal campo. In questo caso l’abbiamo inteso come una pausa dell’arte fine a se stessa, per interrogarci sul senso profondo della vita», spiega Napoli, descrivendo le intenzioni che hanno portato i galleristi a realizzare la mostra e scegliere anche l’opera d’arte realizzata dagli artisti lodigiani. Arte che non è arte, o forse ne è l’essenza stessa: «Si tratta di una “casola”, un paramento liturgico senza cuciture che, nelle nostre intenzioni, era pensato per l’allora Papa Ratzinger, che stimiamo molto come teologo e per il momento particolarmente difficile in cui si è trovato a vivere il proprio pontificato. Nel museo, l’abito è esposto come un arazzo ed ha la forma di semicerchio. L’idea parte dal dialogo biblico tra Giobbe e Dio: da una parte ci sono le parole, dall’altra le lettere, collegate mediante dei fili di seta, con l’obiettivo di dare rappresentazione estetica a questo testo».
LAVORO DI COPPIA
Un lavoro impegnativo, costato ai due giovani artisti oltre tre mesi di lavoro: «Lavoravamo dodici ore al giorno: sono sei chilometri di filo, con un punto di cotone che li lega ad ogni centimetro, più il ricamo che completa l’opera. C’erano notti in cui mi addormentavo con ago e filo in mano» racconta Michele. Questo lavoro, che rimarrà esposto al Museo del Novecento fino all’8 settembre, si pone come compimento di un lavoro complesso, che ha portato a realizzare diverse opere legate alle sacre scritture e più in generale allo studio del linguaggio come forma di comunicazione, da Heidegger alla filosofia analitica. «Stella ha realizzato delle tavole, sempre con questo procedimento, per tutti i Salmi biblici, e il vestito del prete che ci ha sposato era decorato allo stesso modo. Dopo il matrimonio, ormai tutti i lavori che facciamo li affrontiamo insieme: anche un’opera che è più vicina alla sensibilità dell’uno, passa comunque al vaglio dell’altro», chiosa Michele, che incurante dell’afa estiva è già alle prese con altri lavori in vista delle prossime mostre.
Federico Gaudenzi
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