Ha parlato con Beppino Englaro, all’inizio della produzione, e con lui andrà a presentare a giorni il film a Udine: «Lo ho visto ma non intendo rivelare quello che ci siamo detti» dice Marco Bellocchio, che a Venezia presenta in Concorso Bella addormentata, la sua opera che ha sullo sfondo uno dei casi che più hanno coinvolto le coscienze e l’opinione pubblica italiana da quando, nel febbraio del 2009, si è aperto un percorso (anche parlamentare) sul fine vita che non è stato ancora concluso. Non un film “sul” caso Englaro, ma un’opera che affronta i temi legati a quella vicenda.
«Non sono così ingenuo da pensare che il dibattito possa restare slegato dal caso reale per concentrarsi sul film, ma spero che possano emergere i diversi punti di vista e gli spunti che la sceneggiatura offre, senza scegliere una tesi».
Fra i pregi del film c’è proprio questa “distanza” che il regista conserva, che non è una pavida paura di schierarsi, ma una scelta di chiarezza che va a vantaggio dell’opera:
«Sarebbe sbagliato e innaturale utilizzare un film per sbandierare la propria posizione, anche se io ho sempre le mie idee e le difendo nelle mie opere. Secondo me l’artista deve essere libero di esprimersi e io non credo che il mio possa rappresentare una minaccia per qualcuno. Né per chi pregava per Eluana né per le famiglie che oggi si trovano ad affrontare in una vicenda simile. Io penso che sia molto sbagliato semplificare e ridurre sempre tutto a schieramenti contrapposti: ad esempio sono rimasto molto coinvolto dalle parole del cardinal Martini, una figura sul cui spessore di credente non si può nemmeno discutere, sull’accanimento terapeutico».
Nel film non emergono nemmeno critiche alla Chiesa e non ci sono attacchi a una visione della fede che in passato aveva criticato:
«Il mio è un film che ha una visione laica, perché fatto da un laico. Io non ho fede, ma guardo con rispetto e anche grande attenzione chi ce l’ha. Osservo anche le posizioni più “estreme” che evidentemente non sono le mie, ma che per questo non metto in cattiva luce: non voglio conciliare o compatire, non è compito dei film scegliere una posizione».
Come è nata quindi l’idea di affrontare un tema così forte, che ha coinvolto il Paese come pochi altri nella storia recente?
«Ero stato molto colpito all’epoca dei fatti da quanto accaduto alla famiglia Englaro. Poi ho lasciato passare del tempo affinché queste emozioni si sedimentassero, e diventassero la storia, le storie dei personaggi che ho raccontato, e che hanno sullo sfondo la vicenda di Eluana».
I personaggi hanno storie diverse che concentrano differenti “posizioni” sul tema del fine vita…
«Come detto non ho una tesi da sostenere sull’argomento, anche se è ovvio che io ho le mie idee e che queste pure emergono nel film. Non sostengo la ragione dell’uno o dell’altro, ma nemmeno prendo una strada ecumenica e conciliante per far contenti tutti. La mia idea di racconto cinematografico è più complessa e spero che venga fuori dalla visione. Poi io sono un regista che lavora molto con gli attori e tanta parte di quello che è il risultato del film deriva dalla collaborazione degli interpreti. E anche in questo caso è stata decisiva l’opera svolta dai protagonisti della pellicola».
A un certo punto l’amore (di un genitore, di una ragazza) sembra essere la chiave decisiva per la rinascita:
«Nel mio film ci sono tanti “risvegli”, che avvengono mentre si conclude nella realtà la storia di Eluana. Il personaggio del politico, quello della figlia, o quello della donna salvata dal medico: tanti “risvegli” che non sono in contrapposizione con quello mancato nella realtà. Il mio resta un film piuttosto semplice ed essenziale, che non ha divagazioni ideologiche sul tema dell’eutanasia. Sono solo libere scelte legate alla storia».
Bella addormentata può essere anche l’Italia, rappresentata nel film da una classe politica che semba inadeguata?
«Anche l’Italia può essere la “bella addormentata”, sì. Ma sulla politica bisogna fare un discorso più ampio: non c’è nel film disprezzo per i politici, un atteggiamento di condanna a priori. Piuttosto io credo che la nostra classe politica sia in un momento di smarrimento, sbandata. Composta da uomini che dimostrano di non saper bene dove andare. Non c’è disprezzo nei loro confronti ma l’impressione d’essere davanti a una disumanità patologica. Mi sembrano come dei “malati” involontari che, come in una scena del film, non conoscono la loro patologia».
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