Bridgerton
SIAMO SERIAL Una sorta di romanzo rosa con una confezione di “alta sartoria”
In fondo, una soap opera. Di quelle che però hanno alle spalle una produzione decisamente “big”, ma comunque una soap opera in salsa pop: già da qualche tempo è arrivato su Netflix il “chiacchierato” (e un po’ scontato, a tratti spinto) “Bridgerton”, un romanzo rosa a puntate, di quelli che una volta si leggevano sulle riviste. Un drama in costume ambientato nell’Ottocento, nell’alta società londinese. Niente a che vedere, meglio stroncare sul nascere le possibili aspettative, con l’eleganza e la sobrietà di “Downton Abbey”.
La trama è presto riassunta: Daphne Bridgerton (Phoebe Dynevor), è una giovane in cerca di marito, la regina Charlotte (Golda Rosheuvel) la sceglie come “diamante” della stagione, intesa come il periodo dedicato al “mercato delle nozze”, in cui le donne cercano marito. La missione non è così semplice, a causa di una serie di complicazioni. A tenere le fila della storia, puntata dopo puntata, è la misteriosa Lady Whistledown, autrice di una rivista gossip letta da tutto il regno. Si tratta dell’adattamento del libro Il Duca e io, che rappresenta il primo capitolo della serie di romanzi rosa firmati Julia Quinn e dedicati alla famiglia Bridgerton e ai suoi otto fratelli, quattro maschi e quattro femmine.
Quello che colpisce non è la trama, bensì la società multietnica che la serie tv rappresenta: nell’aristocrazia del tempo vengono inseriti con disinvoltura uomini e donne di colore, tra questi uno dei personaggi chiave, il duca di Hastings (Regé-Jean Page, nato in Zimbawe). Anche la regina Carlotta è nera, il suo creatore Chris Van Dusen ha raccontato di essersi ispirato alle ipotesi sulla sua presunta discendenza africana: «Quest’idea mi ha colpito moltissimo. Mi sono chiesto cosa sarebbe successo se, grazie a lei, altre persone di colore avessero ricevuto titoli nobiliari e terre».
Bridgerton è prodotta dalla regina degli showrunner e degli ascolti tv, Shonda Rhimes. Giusto per capire, portano la sua impronta le serie tv di maggior successo degli ultimi anni: “Grey’s Anatomy”, “Scandal” e “Le regole del delitto perfetto”. Per realizzare “Bridgerton” la produzione si è affidata a una consulente, esperta del periodo, tra le curiosità gli oltre 7mila abiti diversi creati per le puntate, tra balli, feste e ricevimenti. Su “Bridgerton” si è già scritto e detto tanto, visto il successo una seconda serie è probabile.
Di questi tempi è difficile trovare, sul fronte serie tv, delle novità che valgano la pena di essere viste, soprattutto se si esce dai settori crime e documentario. E “Bridgerton” non fa eccezione: un drama in costume in chiave moderna, per alcuni pop per altri trash. In fondo, si diceva, tra pizzi e merletti, resta una soap opera.
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