Dove è andato a finire tutto quell’amore senza il quale sembrava impossibile anche solo respirare?
Se lo chiedono oggi Delia e Gaetano, ormai separati, seduti al tavolo di un ristorante, mentre cercano di programmare le ferie estive dei figli. E mentre in realtà ripercorrono la loro storia, la costruzione e lo sbriciolarsi del rapporto che li ha tenuti insieme per tanti anni. La domanda è sottintesa a ogni frase, a ogni gesto, ogni singolo ricordo: “dove è andato a finire quell’amore?”.
Un film al tempo della crisi l’ha definito Sergio Castellitto, al quinto da regista, il terzo (dopo Non ti muovere e Venuto al mondo) tratto da un romanzo della moglie Margaret Mazzantini. Che ha anche scritto tutte le sceneggiature delle cinque opere cinematografiche.
Delia e Gaetano sono – sarebbero – i figli di questa generazione in crisi, di idee, di sogni, di progetti. Quarantenni che vengono mostrati nelle loro fragilità, incapaci d’essere anche nei sentimenti e nei rapporti familiari come la generazione che li ha preceduti, e che se ne sta seduta al tavolo a fianco scambiandosi attenzioni e tenerezze mentre loro si gettano in faccia odio, risentimento e gelato (quello ordinato da lui e tirato da lei). La generazione che però è ancora la sola in grado di arrivare in soccorso per dare il suggerimento-chiave: “Nessuno si salva da solo”, come recita appunto il titolo.
Gaetano (Riccardo Scamarcio) è uno sceneggiatore ma è innanzitutto uno scrittore mancato, Delia (Jasmine Trinca) fa la nutrizionista ma ha un passato di anoressia. Entrambi hanno rapporti “complessi” con i genitori, per i quali si portano appresso pesanti fardelli. Si sono conosciuti in palestra e subito amati, si sono sposati, hanno voluto e fatto figli (due), costruito una casa. Poi tutto è crollato e le macerie stanno attorno a questo tavolo, la sera della cena.
Un film “politico” – sempre per la definizione data dal regista – perché entra nell’intimità dei protagonisti, senza reticenze. Un dramma sentimentale e incline alla scena madre, verrebbe da aggiungere, che non si trasforma mai in un thriller dei sentimenti come ad esempio in Fincher, e predilige invece il melò.
Ci sono alcune costanti rispetto ai lavori precedenti, segno di una continuità e di una poetica che torna (e che evidentemente sta nei libri di Mazzantini). Il lavoro sul corpo dei personaggi ad esempio, che sono sempre al centro, per essere di volta in volta esaltati o feriti. Poi ci sono gli attori, qui Scamarcio e Trinca che dimostrano grande partecipazione e aderenza ai personaggi, lui dando vita a un padre e compagno un po’ sprovveduto, lei alle rigidità e ai complessi di Delia. E ci sono infine le parole, il fiume ininterrotto che nasce dal confronto tra i protagonisti a cena. Castellitto non fa molto per uscire dalla dimensione letteraria, nemmeno quando fugge dalla sala del ristorante per animare il rapporto dei due in flashback: troppe le frasi urlate, troppe le canzoni che sottolineano in maniera evocativa i momenti che dovrebbero essere di maggiore emozione. E con queste la traduzione sullo schermo di frasi del libro che non possono “suonare” alla stessa maniera, e che qui hanno un risultato non sempre convincente. Non resta che aspettare la fine della notte per vedere se ci sarà “il miracolo” e una seconda occasione per Gaetano e per Delia che, intanto, si guardano da lontano.
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